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Finanza

I mercati finanziari sono sempre più in balia di forze che con l'economia hanno poco a che fare: ingegneria finanziaria, trading automatizzato, interventi massicci da parte di banche centrali, nuovi players ... In questa situazione è ancora la capacità di crescita di un Paese alla base della sua prosperità economica? È ancora la capacità di un'impresa di generare utili alla base della buona performance delle sue azioni in borsa? E quindi i mercati finanziari dove andranno nei prossimi mesi?

Aldo Giannuli, storico, sul suo interessante blog www.aldogiannuli.it si chiede se siamo di nuovo alla vigilia di una crisi globale. E scrive “C’è un modo empirico per sapere se una grande crisi è in arrivo: quando gli economisti scrivono che non è un nuovo ’29 (o 2008) vuol dire che è in arrivo qualcosa di peggiore del 1929 (o del 2008). Di solito gli economisti sono bravissimi a prevedere le crisi quando già sono in pieno svolgimento”.

Dopo un mese di gennaio da dimenticare, certo uno dei peggiori nella storia italiana e mondiale, con quotazioni di molte azioni in caduta libera, dobbiamo però fare una considerazione controcorrente. Il petrolio ha raggiunto livelli minimi: sembra che i mercati finanziari la considerino una sciagura, e in effetti lo è per molte società del settore energetico, ma forse non è così per tutti.

Aldo Giannuli prosegue “L’Arabia Saudita, con la sua politica del prezzo stracciato, si sta riducendo molto male ed è costretta (cosa impensabile sino a poco tempo fa) alla spending review, ma sta riducendo ancor peggio le compagnie petrolifere americane”.

A parte il Medio Oriente, dove i costi di estrazione non raggiungono mai i 40 dollari al barile, anzi sono spesso sensibilmente inferiori, in molti altri Paesi per i soli costi di estrazione non bastano 50 dollari e nel caso dello shale americano si stimano almeno 65 dollari al barile (ancor di più per quello canadese estratto da sabbie bituminose).

Ma perché non considerare anche gli aspetti positivi del fenomeno? Tutte le aziende che non fanno parte di questo comparto possono prevedere sostanziali risparmi nei costi di produzione, trasformazione e trasporto. I consumatori a loro volta fruiranno di prezzi più competitivi e in generale di una maggiore disponibilità derivata dal minor costo delle bollette energetiche.

Eppure qualcosa non funziona, visto che, come abbiamo detto, il mondo finanziario non prova nessun sollievo al diminuire del costo del petrolio, ed anzi lo teme sempre più.

A ciò si aggiunge lo spettro della deflazione (approfondiremo domani l’argomento) e il quadro diventa ancora più cupo.

In un nostro articolo di due settimane fa riportavamo il consiglio della Royal Bank of Scotland: “vendere tutto” e prepararsi a un "anno catastrofico" e una crisi deflazionistica globale: “i principali mercati azionari potrebbero diminuire del 20%” si affermava “e il petrolio potrebbe precipitare a 16 dollari al barile”.
E’ bastato solo qualche giorno perché la profezia iniziasse ad avverarsi, con un tempismo agghiacciante.

"Vendete tutto, tranne le obbligazioni di elevata qualità. Si tratta di conservare il capitale, non di remunerarlo” si leggeva in una nota della banca ai propri clienti. Come contestare un suggerimento tanto saggio?

In realtà Paul Krugman, professore all’Università di Princeton, scrive su Internazionale: “La mia previsione è ancora che la situazione non sia così grave: è spinosa in Cina, ma per il resto del Mondo è solo una turbolenza”. Molto meno ottimista è Nouriel Roubini, economista della New York University, che scrive su Repubblica di scorgere sinistre somiglianze con il 2008 e parla di un imminente pericolo di crack.

Allora il detonatore furono i mutui subprime, ora potrebbe essere la catena di fallimenti delle società dello shale oil. Per evitare un altro crollo, Roubini consiglia alle autorità fiscali e monetarie dei principali Paesi di assumere subito un’iniziativa forte e proattiva, altrimenti il crollo dei mercati, che trascinano l’economia reale, non si fermerà. La Fed dovrebbe interrompere i rialzi, la Bce potenziare il quantitative easing e altrettanto la Bank of Japan. Infine la Banca centrale cinese dovrebbe imbracciare con maggior decisione la strada dello stimolo monetario.

D’altra parte un certo cambiamento è avvenuto negli ultimi decenni anche da parte del sistema bancario. Storicamente le banche sono sempre state degli enti che si interponevano positivamente fra risparmiatori e aziende che necessitassero di finanziamenti, ricavandone un ragionevole margine di profitto. Cioè le banche (e anche le Borse) erano sempre state al servizio dell’economia. Purtroppo invece negli ultimi anni “la finanza si è stufata di essere al servizio dell’economia” come affermava qualche giorno fa la dr.ssa Alida Carcano di Valeur Investments nel corso di una breve conferenza. “Si sono cercate nuove forme come i derivati ecc. Così è esplosa sì la finanza, ma non l’economia”. La Borsa è diventata uno strumento di speculazione, e le nuove tecniche, come i sistemi di trading algoritmico, hanno avuto come conseguenza che gli spostamenti di capitali sono fatti tutti all’unisono, nella stessa direzione, decisi da intelligenze artificiali che non sono in grado di valutare le sfumature. Così basta che Draghi dica qualcosa e il dollaro sale o scende immediatamente, a prescindere dalla visione di lungo periodo.

Paolo Brambilla

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