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Affari di birra
Il luppolo parla italiano

L’ingrediente aromatico della birra comincia a essere coltivato anche nel Bel Paese. Dopo anni di dominio straniero, finalmente si intravede la possibilità di mettere fine a un gap di materia prima che dura da troppi anni e che apre le porte a un nuovo business

L’Humulus Lupulus, traducibile in ‘predatore del suolo’ vista la tendenza delle radici della pianta a estendersi sulla superficie, ma comunemente noto come luppolo, è in prevalenza un affare straniero. L’Italia manca ancora all’appello. Questo ingrediente cardine per realizzare la birra e con proprietà aromatiche, amaricanti e antibatteriche, cresce e viene raccolto in maggioranza nel Vecchio Continente, dove se ne genera i due terzi dell’intera produzione. La Germania è in prima fila e, a livello mondiale, produce circa la metà del luppolo usato per la birra, soprattutto nella città di Tettnang e nella regione bavarese di Hallertau, mentre gli Stati Uniti seguono a debita distanza. Nuovi paesi poi si stanno affacciando, come Giappone, Cina e Australia.

In Italia, invece, se si escludono alcuni piccoli centri di ricerca sperimentale, più che altro legati a personali operazioni da parte di microbirrifici, non esisteva fino a qualche tempo fa una reale produzione di ‘oro verde’. Un gap causato dalle sfavorevoli condizioni climatiche del Bel Paese, dato che questa pianta erbacea necessita di un’elevata richiesta idrica.

Ma le cose stanno cambiando. Innanzitutto, stando a un recente studio del territorio, nel nostro paese sono state censite circa 150 superfici usate per la coltivazione del luppolo, quasi tutte concentrate nel centro Italia, seppure con livelli di produzione molto bassi. Un caso però sta catalizzando su di sé l’attenzione del settore ed è opera di una start up chiamata Italian Hops Company, ideata da Eugenio Pellicciari e Gabriele Zannini, due trentenni grandi appassionati di lager & Co. Per comprendere meglio di cosa si tratta bisogna recarsi nell’entroterra modenese, a Marano sul Panaro per l’esattezza, dove dallo scorso luglio la neonata azienda (riconosciuta dal Ministero dell’Agricoltura come unica coltura di luppolo autoctono italiano) ha avviato la produzione di questa pianta, in collaborazione con il Comune e il Dipartimento di Scienze Alimentari dell’Università di Parma. Un luogo che storicamente vanta un’antica tradizione in materia, visto che, già nel 1876, sulle rive del Panaro, l’antico casato dei Montecuccoli era dedito alla coltivazione del luppolo. Tornando ai giorni nostri, la prima raccolta stimata da parte dei responsabili di Italian Hops parla di una tonnellata di luppolo secco e la varietà sarà di tipo americana. Se il raccolto risulterà di qualità, si tratterà di un importante passo verso quel percorso ambizioso di dare vita a una birra prodotta con luppolo italiano. E creare, soprattutto, un mercato che nel nostro paese, di fatto, ancora non esiste.

 

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