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Affari Europei
Ecco perché la globalizzazione (corretta) é un bene

Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani


Protezionismo, dazi, Wto, barriere tariffarie... Fino a pochi anni fa le politiche commerciali degli Stati erano un tema per addetti ai lavori, relegato nelle ultime pagine dei giornali. Oggi invece sono al centro del dibattito pubblico in molti Stati. Il mondo si sta dividendo sempre di più tra chi difende il libero commercio, come l'Unione europea, e chi invece sta adottando politiche protezionistiche attraverso l'innalzamento di dazi, come gli Stati Uniti.

Due atteggiamenti diametralmente opposti che rispecchiano un diverso punto di vista sulla globalizzazione. La domanda é semplice: il libero commercio é una cosa buona o negativa? "Con i dovuti correttivi la globalizzazione é una grande opportunità di crescita per l'economia italiana e globale", spiega ad Affaritaliani.it Alessia Mosca, eurodeputata del Pd e autrice di 'Tutto un altro mondo', un libro (con prefazione di Enrico Letta) che prova a dare una risposta alla suddetta domanda e sintetizza il lavoro svolto da Mosca nella commissione per il Commercio internazionale in questa euro-legislatura.

"La liberalizzazione del commercio va governata, perché senza correttivi si creano effetti negativi che inducono l'opinione pubblica ad abbracciare politiche autarchiche. Ma nessuno puó negare alcuni aspetti positivi della globalizzazione, come l'uscita dalla povertà di milioni di persone".

Però per chi in Italia ha perso il lavoro si tratta di una magra consolazione.

"Per questo serve una rete di sicurezza garantita anche dall'Europa per tutelare chi ha perso il posto di lavoro. Ma ricordiamoci che la ripresa italiana é figlia dell'aumento dell'export. Certo, noi importiamo molti beni dal resto del Mondo e questa concorrenza, a volte sleale, mette in difficoltà le nostre imprese. Ma esportiamo molto di più di quello che importiamo e questo ci arricchisce".

Una Italia isolata dal mondo non sarebbe dunque più ricca?

"No, fallirebbe in pochissimo tempo. Anche perché la catena del valore oggi é globale. Le nostre imprese spesso coprono solo un piccolo segmento di una filiera transnazionale. La strada é dunque quella del commercio e della competitività".

Lei ha parlato di una rete di sicurezza, che cosa intende?

"Ci sono alcuni settori che sono stati più colpiti dalla globalizzazione, come ad esempio quello tessile, e che hanno ingenerato nell'opinione pubblica la paura della crisi e della deindustrializzazione. Serve un coordinamento tra livello europeo e nazionale per accompagnare i lavoratori verso una riqualificazione e politiche di welfare per sostenere le famiglie. La soluzione non é l'autarchia, ma la gestione della globalizzazione".

copertina mosca libro
 

C'é la percezione tra le persone che alcuni Stati, come la Cina, agiscano in maniera scorretta e che sfruttino solo a loro vantaggio la globalizzazione. Parliamo ad esempio dei furti di proprietà intellettuale.

"La Cina é un partner difficile con cui avere a che fare. Ma ancora una volta la soluzione non é di chiusura, servono strumenti per fare rispettare le regole. Gli accordi di libero scambio, come il Ceta con il Canada o il Ttip con gli Usa, hanno all'interno regole chiare proprio su questi punti".

E il Wto?

"Oggi il sistema di accordi multilaterali non funziona. Il Wto andrebbe modificato, ma non abolito. L'Organizzazione mondiale del commercio é una prima e importantissima base su cui confrontarsi".

Mentre noi pensiamo alle regole la Cina sta costruendo la sua ricchezza e leadership anche nel campo dell'innovazione sulle nostre spalle. Che cosa si puó fare?

"La Cina é una potenza economica con cui dobbiamo confrontarci e stabilire delle regole comuni. Abbiamo perso una occasione con lo stop al Ttip che avrebbe permesso ad Europa e Stati Uniti di definire le regole globali del commercio a cui tutti si sarebbero dovuti adeguare".

Ci puó spiegare meglio?

"In un mondo globalizzato la definizione delle 'regole del gioco' dipende dai rapporti di forza tra gli Stati. L'Unione europea, con il suo mezzo miliardo di consumatori, unita agli Stati Uniti, al Canada e al Giappone, avrebbe costretto la Cina ad accettare un quadro di regole condiviso, indipendenti dal Wto, che avrebbe tutelato le nostre imprese e i consumatori".

Trump ha preferito prendere il toro per le corna e imporre dazi. Una via più sbrigativa, ma anche efficace?

"Non lo é perché la Cina ha già risposta con altri dazi. Trump ha usato il tema del protezionismo per fare propaganda elettorale in vista del voto per il rinnovo del Congresso e per l'elezione di alcuni governatori, ma i lavoratori che lui intendeva difendere pagheranno per la crisi innescata dai dazi. Lo vedremo con gli agricoltori Usa, colpiti dalle brriere decise da Pechino su mais, soia e sorgo".

Si profila una guerra commerciale?

"Il rischio é concreto. Ma dobbiamo stare attenti perché le guerre commerciali possono portare ad altri tipi di scontri. Il rischio c'é e la storia ce lo insegna. Quando chi governa semplifica il messaggio, dipingendo un mondo in bianco e nero, e si agisce in maniera unilaterale il rischio che si arrivi ad uno scontro diretto é reale".

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