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Affari Europei
Premio Sacharov 2016, parlano le vincitrici: Nadia e Lamiya
Nadia Murad e Lamiya Bashar, ritirano il premio Sacharov al Parlamento europeo

Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani

Nadia e Lamiya avevano una vita tranquilla nel loro villaggio del nord dell'Iraq. Poi é arrivato l'Isis portando con sé morte e distruzione. Quando sono entrati nel piccolo villaggio yazida di Kocho, gli uomini dello Stato islamico hanno ucciso tutti gli uomini e le donne anziane. Le ragazze sono invece state rapite e trasformate in schiave sessuali, vendute al miglior offerente. Ma Nadia e Lamiya sono riuscite a fuggire dopo mesi di prigionia e martedì hanno ritirato al Parlamento europeo il premio Sacharov per il loro impegno in favore della comunità yazida.

"Daesh ha ucciso mia madre, che credeva nella bontà del genere umano, insieme a 86 altre donne yazide, perché non avevano alcun valore dal punto di vista sessuale", ricorda Murad, che quando fu rapita aveva 21 anni. L'Isis ha ucciso i suoi sei fratelli e la madre. I combattenti l'hanno violentata a turno, obbligandola a convertirsi all'Islam. Ha tentato di fuggire varie volte Murad, e un giorno, dopo 4 mesi di schiavitù, costretta a subire le più atroci sofferenze, é riuscita a scappare grazie all'aiuto dei vicini di casa e a raggiungere il nord dell'Iraq. Lí ha trovato rifugio in un campo profughi e poi é andata in Germania. "Ringrazio infinitamente il popolo tedesco per avermi accolta. L'Europa per noi é un bastione di umanità e rispetto delle persone", ricorda.

Anche Lamiya é riuscita a fuggire, ma ha pagato un prezzo altissimo. Mentre scappava dal suo aguzzino ha calpestato una mina anti-uomo che le ha devastato il volto, rendendola quasi cieca. Lamiya aveva solo 15 anni quando é stata rapita, per fortuna la sua famiglia é riuscita a fuggire e non ha mai smesso di cercarla. Ha passato mesi in schiavitù, comprata e venduta cinque volte, fino a quando i familiari non sono riusciti a pagare dei trafficanti per portarla nel Kurdistan iracheno. Anche lei é stata portata in Germania per ricevere cure mediche dopo l'esplosione della mina.

"Uno degli uomini che mi teneva prigioniera fabbricava bombe", ricorda Lamiya. "Mi costringeva a maneggiare esplosivo, a costruire cinture per gli attentati suicidi. Entrambe ricordano l'umiliazione di quando gli uomini dell'Isis raccolsero tutte le giovani donne del villaggio e se le spartirono come oggetti. Litigavano tra di loro per accaparrarsi le più desiderabili, per violentarle e ridurle in schiavitù.

Quello che vogliono ora é pace e giustizia. Pace per l'Iraq, per la Siria e per gli altri Paesi in guerra. Chiedono che l'Occidente assicuri un futuro al loro popolo. Ma vogliono anche giustizia, vogliono che i loro aguzzini siano portati davanti al Tribunale internazionale dell'Aja per essere giudicati. "Il mio ultimo carceriere si chiama dottor Eslam, direttore dell'ospedale di Houwaja", ricorda con dolore Lamiya. "Gli piaceva torturare me e le altre ragazze yazide. Ha violentato bambine di nove e dieci anni e deve pagare per questo".

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