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Affari Europei
Rapporti con la Cina, Viotti: l’Italia non ceda settori strategici

Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani

Grazie ad una economia in crescita e ad una disponibilità economica senza paragoni, la Cina sta attuando una strategia di espansione commerciale a livello globale che ricade sotto il nome di Nuova via della seta. Una serie di accordi commerciali con Paesi sparsi in tutti i continenti che si accompagna ad investimenti in infrastrutture di trasporto e di telecomunicazione.

Dopo avere costruito ramificazioni in Asia e Africa ora la Cina guarda all’Europa. Dopo i pesanti investimenti nel porto del Pireo, ad Atene, e quelli nella linea ad alta velocità tra Budapest e Belgrado, Pechino ha puntato l'Italia. È sul tavolo del governo giallo-verde un accordo che delinea i futuri rapporti tra Italia e il gigante asiatico. “È un accordo di cui non si conoscono i contenuti e quindi è difficile valutarne l'opportunità”, spiega ad Affaritaliani.it Daniele Viotti, eurodeputato del PD.

Onorevole Viotti, quali sono le preoccupazioni circa la proposta cinese?

“Il timore è che il governo italiano metta nelle mani di una potenza straniera settori strategici. Parliamo delle infrastrutture di trasporto, visto che Pechino ha espresso interesse verso i porti di Genova e Trieste. Ma anche di telecomunicazioni, visto che Tim potrebbe affidare a Huawei lo sviluppo della tecnologia 5G“.

Sono condivisibili dunque le preoccupazioni espresse anche dai partner europei e dagli Stati Uniti?

“Assolutamente sì. Ed è sorprendente che i partiti oggi al governo, che si sono scagliati duramente contro il trattato commerciale tra Europa e Stati Uniti, ora supportino un accordo opaco con un Paese come la Cina con cui abbiamo rapporti, anche storici, certamente più deboli rispetto agli USA”.

E tuttavia l’Italia ha forte bisogno di investimenti...

“Bisogna valutare di quali investimenti si tratta, se ad esempio portano ricchezza per il Paese oppure meno. Abbiamo visto come gli investimenti fatti dalla Cina in altri Stati non abbiano avuto alcuna ricaduta positiva sull'economia locale. Inoltre dobbiamo chiederci perché Pechino abbia scelto proprio l’Italia come partner“.

Secondo lei qual è la ragione?

“È un dato di fatto che oggi il nostro paese è in una situazione di difficoltà e quindi siamo la parte debole in una contrattazione con la Cina. Il timore condiviso da molti è che Pechino voglia utilizzare il nostro Paese per assicurarsi una testa di ponte nel mercato europeo, il più ghiotto a livello mondiale“.

Se tuttavia la Cina investisse in Italia questo andrebbe a vantaggio del Paese, no?

“Che l’Italia abbia bisogno di investimenti è fuor di dubbio. Ma piuttosto che legare il nostro paese ad una potenza estera con obiettivi poco chiari, io preferirei che Roma guardasse ai partner europei con i quali abbiamo un rapporto storico forte e con i quali abbiamo costruito un percorso comune all’interno della casa europea“.

In che modo gli investimenti cinesi nel settore delle telecomunicazioni potrebbero rappresentare una minaccia per l'Italia?

“Oggi viviamo nell'economia dei dati e avere il controllo sulle informazioni é strategico. Davvero vogliamo dare il controllo delle infrastrutture di telecomunicazione ad un governo straniero? Abbiamo già avuto prova di come potenze estere abbiano cercato di influenzare i processi democratici in Occidente“.

Si riferisce al voto sulla Brexit o all’elezione di Donald Trump?

“Ci sono state delle manovre poco chiare sia relativamente alla diffusione di fake news volte a orientare l’opinione pubblica, sia veri e propri attacchi hacker alle infrastrutture di voto elettronico. La sicurezza informatica europea deve essere una priorità strategica da difendere“.

L’influenza cinese si fa sentire così tanto in Europa anche perché non abbiamo dei campioni continentali nel campo dell’innovazione tecnologica?

“In parte sì e infatti mi ha stupito la decisione della commissaria Vestager di bloccare la fusione di società come Siemens e Alstom che avrebbe creato una realtà in grado di competere a livello internazionale nella costruzione di treni. Abbiamo bisogno di un consolidamento delle industrie e delle società europee come è accaduto con Airbus, nata dalla fusione di piccole realtà nazionali che ora riesce a competere con colossi come Boeing. C’è poi un problema di governance”.

In che senso?

“Oggi le modalità di decisione a livello europeo sono lente e farraginose e non permettono all’Unione di avere quella velocità di reazione che invece paesi come la Cina o gli Stati uniti riescono ad esprimere grazie ad un assetto istituzionale che concentra parte del potere decisionale in organismi snelli”.

Dobbiamo andare verso degli Stati uniti d’Europa?

“Certamente così non si può andare avanti. Dobbiamo avere una visione comune e strategica per l’Europa. Oggi siamo facile preda di potenze estere perché non siamo uniti, ma anzi ci dividiamo al nostro interno facendoci concorrenza sleale tra di noi, come è accaduto per i lavoratori dell'Embraco che Whirlpool ha licenziato per delocalizzare in Slovenia, dove il costo del lavoro e le tasse sono minori”.

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