Via della seta, Salini: da Pechino una nuova forma di colonialismo
Mentre proseguono i negoziati commerciali tra Italia e Cina da Strasburgo arriva un avvertimento: da Pechino una strategia neo-colonialista
Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani
Il governo italiano si trova nella difficile situazione di dover decidere se ratificare o meno il memorandum di intesa proposto dalla Cina nel quadro di una ampia strategia commerciale e geopolitica ribattezzata la Nuova via della seta. Una rete di infrastrutture e accordi commerciali a livello intercontinentale che ha come obiettivo quello di consolidare il primato di Pechino come paese manifatturiero e leader nell’esportazione di prodotti finiti in tutto il Globo.
Una strategia che ha visto il governo cinese già attivo nella stipula di accordi commerciali con Paesi africani e asiatici, ma soprattutto nella costruzione di infrastrutture, come nel caso della linea ferroviaria che collega direttamente la Cina all’Europa o come nel caso del porto del Pireo, in Grecia, dove Pechino ha investito direttamente acquisendone il controllo e ampliandolo.
Ora il presidente Xi Jinping vorrebbe firmare un accordo con l’Italia investendo nei porti di Trieste e Genova proprio per potenziare la capacità del suo export. Dagli Stati Uniti è giunto un alert, così come dai partner europei che temono un aumento dell’influenza cinese in Europa.
“La strategia espansiva cinese ha forti tratti neo coloniali”, spiega ad Affaritaliani.it Massimiliano Salini, eurodeputato di Forza Italia ed esperto in tema di infrastrutture e trasporti. “La Cina individua scientificamente partner deboli offrendo accordi che possono sembrare vantaggiosi, ma che legano il Paese a Pechino in un rapporto di forza che é tutto sbilanciato a favore della Cina”.
L’Italia è un paese debole?
“Stiamo attraversando un periodo di forte incertezza politica e di stagnazione economica. Abbiamo dunque meno potere contrattuale nei confronti di Pechino che ha dimostrato in passato di prediligere investimenti in paesi vulnerabili, come nel caso della Grecia, dove il principale porto nazionale ora parla cinese”.
Che rischio corre l’Italia?
“Prima di tutto quello di consegnare infrastrutture strategiche nelle mani di una potenza estera. Inoltre il timore espresso da molti é che aumenti la dipendenza della nostra economia da beni provenienti dall'Asia ,senza al contempo esserci una maggiore opportunità di business per le nostre aziende”.
Insomma, la Cina è alla ricerca di una base d’appoggio per assicurarsi libero accesso al mercato europeo?
“Assolutamente sì, quello europeo è il primo mercato al mondo in termini di valore dei consumi e per Pechino è strategico controllare le infrastrutture di trasporto e avere accordi commerciali per poter dare sbocco ai prodotti Made in China“.
Che cosa dovrebbe fare il governo italiano?
“Dovrebbe avere un approccio meno ingenuo nei confronti delle proposte della Cina e mettere al primo posto i nostri interessi economici. Noto poi una certa contraddittorietà nella politica di sviluppo del governo”.
A che cosa si riferisce?
“Da un lato l’esecutivo è contrario alla Variante di valico e alla TAV, dall’altro si è dimostrato favorevole ad investimenti cinesi nei porti di Genova e Trieste che tuttavia hanno poco senso se poi le merci, una volta sbarcate sulla terraferma, non possono essere trasportate agevolmente nel resto d’Europa”.
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