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L'avvocato del cuore
Incidente Ponte Milvio, genitori permissivi e non autorevoli
(fonte Lapresse)




Mi sto domandando da giorni il perché dell’esasperato interesse del mondo della comunicazione verso il terribile incidente di Ponte Milvio.     
È vero, le vittime sono tre ragazzi e il dolore delle famiglie è indicibile.
Ma non è solo solidarietà, quella che sta suscitando un’attenzione ossessiva. Dico che le vittime sono tre, perché due hanno perso la vita e il ragazzo se l’è giocata per sempre.         
Da una parte, i genitori sono stati crudelmente orbati delle figlie; gli altri genitori, da parte loro, stanno raccogliendo i cocci bruciati della vita del figlio. Una vita, comunque sia, sbriciolata.   
Hanno fatto tutto tre adolescenti; pagheranno tutto i loro genitori.   
Non ci sono indagini risolutive che potranno mai dirci la verità e la precisione della dinamica. Ma possiamo ipotizzare tanti scenari, per individuare le diverse e concorrenti responsabilità. Se non altro, per evitare di sostenere gli schieramenti contro ciascuno dei protagonisti.
Una grande responsabilità ce l’ha sicuramente il ragazzo, che aveva bevuto alcool a tal punto da dover escludere, da solo, di mettersi alla guida. Tanto più essendo recidivo per un comportamento analogo, che gli aveva provocato il ritiro della patente.  
Responsabilità ce l’hanno anche le ragazze: non si attraversa al buio, forse col rosso, lontano dalle strisce. E speriamo che almeno loro non avessero bevuto, così aggravando il comportamento colpevolmente spensierato.       
E possiamo dire che non abbia responsabilità il superstellato comune di Roma, che lascia priva di illuminazione una strada frequentatissima e pericolosa?     
Tutte queste responsabilità rotolavano come pietre incandescenti nella notte, per trovarsi in un maledetto secondo sulla stessa traiettoria di vita e di morte ed esplodere tutte insieme, per produrre in tre famiglie un dolore crudele, insopportabile e ineliminabile.    
I figli, però, non si lasciano in giro di notte, in una città amministrata malissimo, a 16 e a 20 anni in balìa di se stessi. Preda della propria presunzione, dell’inesperienza, dell’illusione che tutto vada sempre bene.
A 16 anni le ragazze si vanno a prendere, ci si organizza con taxi a pagamento condiviso con gli amici. Non le si lascia in giro a casaccio.     
Nella notte, due ragazze di 16 anni, oltre che investite, possono essere stuprate, derubate, malmenate.
A 20 anni, se gli hanno già tolto la patente, se beve e assume droghe, un ragazzo non merita che il padre gli dia un Suv come se niente fosse. Almeno per un anno e dopo la radicale disintossicazione ne avrà, forse, la possibilità. Lasciare in giro di notte la figlia minorenne, è abbandono di minore. Dare la propria automobile al figlio ventenne, fresco di patente ritirata, è una gravissima superficialità.
Sono dunque responsabili i genitori? Anche. Fermo tutto il resto.    
E questo è, secondo me, il motivo di tanto interesse mediatico: improvvisamente tutti noi adulti stiamo facendo un collettivo esame di coscienza, severo e con risultati pessimi.    
Anche i ragazzi, però, dovrebbero farlo e imparare a non sentirsi così invincibili e invulnerabili.     
È vero che loro in pratica hanno solo diritti e i genitori solo doveri, ma i figli hanno l’obbligo di ascoltare e rispettare i genitori. E soprattutto non svalutare il loro addestramento alla vita.       
La verità è che non insegniamo loro abbastanza; non li perseguitiamo ripetendo loro all’infinito regole basilari; non ci occupiamo di loro quanto dovremmo; non abbiamo mai il coraggio di punirli. Non abbiamo la forza di dire no. Ci piace avere dai figli i like della vita, come su Instagram. Li vogliamo nostri followers e non nostri contraddittori. Siamo diventati permissivi e non più autorevoli.       
Abbiamo paura della loro ribellione e del loro distacco, che invece, sono il punto di partenza della maturità, dell’autonomia. Tutto il resto è destino cieco.
 

* Avvocato del foro di Milano, esperta di diritto di famiglia e della persona

 

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