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Il buono, il brutto e il cattivo
Anche i ricchi muoiono. Scompare Idina Ferruzzi, vedova di Raul Gardini

 

Con la morte di Idina Ferruzzi, moglie del Corsaro di Ravenna, Raul Gardini, si conclude un ciclo drammaturgico che nell'immaginario collettivo ha rappresentato l'icona più elevata del turbo-capitalismo spericolato degli anni '80. Muore un pezzo di quell'Italia dove tutto sembrava possibile, e dove i flussi di denaro reale diventavano per la prima volta virtuali e viceversa. Muore un mondo di barche, feste fantasmagoriche con ragazze dalla dubbia moralità e di finanzieri jurassici dalla reputazione ancora peggiore. Il caimano milanese, espressione perfetta dell'Era, aveva ancora i capelli, e faceva il costruttore, e gli altri si stringevano intorno al potere pentapartitico per mungere definitivamente la vacca pubblica,per farne bistecche private, niente rispetto al grigiore doppiopettista dei protagonisti della ricostruzione, Mattei compreso. La ricchezza, si sa, si deve far sapere a tutti, almeno questo era l'assioma dell'immagine dell'epoca, che la loro vita era racchiusa in un paradiso terrestre ideale, che nulla aveva a che fare col resto del paese,anche se tutti gli italiani giocavano a fare i mini-finanzieri,molto d'assalto. Poi l'incantesimo svanì tra tintinnar di manette,e brutte storie di suicidi, troppi, e inutili, dovuti ad un nuovo tipo di potere che aggrediva le fragilità che il Sistema manifestava ormai da tempo,irreversibilmente fino ad oggi, almeno. E fu la catastrofe del 1992, anno orribile foriero di spaventose sventure che ancora oggi non abbiamo metabolizzato. La povera Idina,non c'entrava nulla, lei figlia del grande Serafino, e innamorata del suo spregiudicato Capitano, madre devota e dopo la tragedia addirittura suora laica,una parabola totalmente estranea ai lustrini del denaro facile,della corsa all'oro, del "tutti che corrompono tutti". Quella stagione ci appare come una tempesta perfetta,inevitabile e letale, come qualsiasi forma di alterazione,come l'apparenza che sostituisce la sostanza, perché non è possibile che tutti diventino ricchi, senza falsificare i conti,meglio farlo credere, ma questo vale per Tanzi e i suoi Picasso nascosti in garage dietro le biciclette e per l'industrialino che "pago le tasse, ma fino a un certo punto". Quel ricco muore quando capisce che il mondo dello spettacolo agli albori non lo sostiene più, e che la spietatezza è meglio lasciarla a Douglas in Wall Street, muore d'invidia e di avidità, di fragilità psicologica e di inadeguatezza, ma questo riguarda quasi tutta la classe dirigente italiana, e dunque mal comune mezzo gaudio.

Lontano appare il gusto rapace di quei vecchi predatori, quasi romantici rispetto ai killer in gessato delle Cancellerie e dei palazzi post-moderni di Bruxelles, quelli almeno cercavano di essere cattivi senza riuscirci fino in fondo, oggi i nuovi ricchi ci hanno messo in catene senza neppure sfiorarci, col sorriso criminale sulla faccia.

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