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Il buono, il brutto e il cattivo
Berlusconi e l'accanimento terapeutico: il leone è sul viale tramonto

Non è facile scrivere di Lui, di Silvio, del Presidente (di Tutto), del bulimico protagonista della vita pubblica italiana dell’ultimo quarto di secolo.

Silvio Berlusconi da tempo è diventato molto più di un’icona bensì una maschera del teatro italiano, un catalizzatore del carattere del paese, identità negativa e positiva di tutti i vizi e virtù di questo indescrivibile Luogo. Lui è tutto: soldi, successo, fama, processi, gnocca, il Milan stellare, dubbi, processi, amicizie spericolate (alzi la mano chi non ha mai avuto qualche delinquente per amico?), crolli e rinascite improvvise, ville immense e forzieri, un italiano medio capace di prendere per mano la nazione e trasformarla radicalmente e per sempre.

Questo è stato Silvio, perché ha cambiato l’idea di quartiere, di televisione, di calcio e infine ha cambiato la politica, ma l’ultima e più complessa attività è quella che lo ha reso triste, sfiduciato, niente a che vedere col mattone o col pallone.

Quello che siamo, quello che percepiamo, lo ha definito Lui, e nessuno dopo di lui potrà cambiarlo in meglio o in peggio, l’Homo Berlusconianus impera anche se nell’urna latita.

Il tempo trascorre per tutti e “i tempi stanno cambiando” qualcuno dice, ma l’imprinting sociale rimane, la politica ha prodotto solo suoi cloni parziali, o piccoli nemici incazzosi e spenti.

Ora siamo al finale, e forse già da tempo questo finale wagneriano era iniziato, l’Uomo si sa è un grande combattente, che ha sfidato l’anagrafe e la logica, e mai riuscirà a dire basta, neppure costretto dalle evidenti circostanze che lo hanno relegato ad un ruolo politico marginale e ininfluente.

Silvio parla sempre meno, e conosce già l’epilogo, ma ora comincia sbandare, e per altro su un terreno che Lui stesso ha inventato, mistificato e trasformato, perché le tivvù le conosce bene, ma ora gli è rimasta  l’esile arroganza del capriccio che assomiglia tanto all’uscita di scena del nonno pieno di livore e pronto alla ripicca.

Perderà questa battaglia, perché la sua azione politica(?) assomiglia all’accanimento terapeutico verso un paziente terminale, e Lui, vincente per definizione, non riesce a gestirla una situazione di sconfitta, come un’adolescente disperato perché la fidanzatina gli ha preferito un altro.

Il sapore amaro della deriva senile non rientra nelle caratteristiche del Presidente Berlusconi che ha già fatto diversi patti col diavolo, e ha rappresentato nell’immaginario collettivo italiano, il più invidiato esempio di realizzazione personale della storia recente, capace di oscurare i simboli della ricchezza, della politica e del calcio del dopoguerra.

Ora questo è finito e i giovanotti, i Castore e Polluce di quella contemporaneità che lui non vuol capire, lo snobbano, lo superano in vitalità fisica, e in velocità operativa, e lui non è il tipo da cedere il testimone, se non lo ha fatto realmente con i figli, in azienda, figuriamoci con i figliocci che ha sopportato con malcelata benevolenza.

Ed è malinconico vedere il vecchio leone che deve accontentarsi di giocare di rimessa, a rimpiattino mentre il Matteo è pronto a comprargli e a basso prezzo, il partito-Io che con grande fatica e dispendio economico aveva costruito su immagine non del paese, ma del paese che Lui aveva in mente di costruire.

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silvio berlusconi





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