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Il buono, il brutto e il cattivo
Bonino, lacrime di coccodrillo. E' finita la politica dei burosauri
LaPresse

Lacrime di coccodrillo. Psicodramma nazionale di fine anno, tra neo-media, vecchi merletti e un giovane premier che ci piace sempre di più. La Bonino piange, stregata dai sondaggi e dalla perdita delle secolari rendite di posizione, minaccia. Sbraita e detta le condizioni per una probabile prossima entrata in qualsiasi governo purchè sia di incompetenti (sono gli stessi che le hanno permesso di essere eletta nel Veneto Fascistissimo, qualche giravolta fa) e riporta in lacrime al suo Capital-Capitano tutto lo squallore che è costretta a sopportare.

Il governo marcia, macina, digerisce l’indigeribile, e avanza, ribalta tavoli, scompagina, non guarda in faccia a nessuno. Non accetta diktat, li cavalca al massimo e la Bonino piange, perché Monti e la Banda Ovunque non incidono più sulle nomine, sui palinsesti e sulle prebende degne di Creso. Il giovane premier, il bell’Antonio, Giuseppe Conte, con la sua strategia della delicatezza, macina, seduce, aggrega e vince, vince su tutti i fronti, contro la depressione dei talkshow della Spectre7, le inutili parole di Giannini che odia Travaglio e chiunque parli bene di questo governo. Che ci piace, ci piace assai, perché è diverso, in tutto anche negli errori.

Evviva i Vice-Diarchi, instancabili e imprevedibili che mettono alla berlina, il circo sempre verde della piaggeria italica, stanca, grigia, insopportabile e soprattutto senza lo straccio di un'idea. Il Tg3 ormai si occupa delle microinchieste dei parenti dei governanti, dimenticando banche, terrorismo, arresti eccellenti, e incredibili autocelebrazioni e beatificazioni: Cristo si è fermato a Riace.

L’opposizione piange, ma è esilarante in uno pseudo-Aventino per deficit di democrazia, che detta dai figli e nipoti di Napolitano, Natta, Longo, infastidisce anche perché la credibilità di Marcucci, miliardario dem, è pari a zero. Si chiude un anno pieno di incazzature e di incazzati che non hanno scalfito la veemenza dell’esecutivo, non ne hanno fiaccato l’azione, perché i giovani al potere hanno una freschezza che non vedevamo da tempi lontani.

Che continuino a scendere queste lacrime di coccodrillo, sappiamo tutti che nefandezze si nascondono dietro critiche a volte stupide a volte strumentali, e quanto dia fastidio, in questo paese ad andamento lento, la vivacità, la velocità, l’azzardo, la messa in discussione di tutto e di tutti, ci sarà tempo per dare giudizi distaccati ed efficaci. Oggi c’è solo livore , oggi c’è la rabbia di vedere altri realizzare quello che non sono stati capaci, in decenni di fare.

L’Europa piange, sulle sue rovine, economiche sociali, politiche e soprattutto istituzionali, siamo alla deriva delle oligarchie che si auto-sostengono, delle elite che non vedevano l’ora di cancellare la politica, e l’Arte della Politica, i burosauri arroccati nel castello modernissimo di Bruxelles piangono per la prossima, provabilissima, resa dei conti, e dunque viva ancora il nostro bell’Antonio, anche se lo salutano con distacco le maschere di cera dell’(n)euro-deliri. 

Piangono e si disperano i glabri pretendenti al trono di pietra del piddi, si elidono a vicenda in una gara a chi riesce a rendersi il meno credibile possibile, e perfino Beppe Sala, ”el sindic de Milan”, ha bisogno del milanese imbruttito per farsi dare una mano elettorale, nello stile del nazareno, nello stile milanese: cuore a sinistra ma portafogli saldamente a destra.

Che piangano, quelli che continuano a far piangere milioni di ignobili cittadini, quel popolino- populista, sovran-sovranista, che tanto hanno odiato, o almeno sopportato, misere maschere della commedia italiana, incapaci di guardare a qualsiasi cosa non sia prevedibile, scontata, come nello stile del convitato di pietra Massimo d’Alema.

Auguriamoci che le imboscate siano sempre meno efficaci e che i vecchi coccodrilli continuino a versare lacrime davanti ai sorrisi che li hanno resi così impopolari, così prevedibili, nella smorfia nervosa delle loro inquadrature c’è tutta l’incredulità di una prossima, prevedibilissima fine delle trasmissioni.

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