L’avevo visto in un bar/enoteca di corso Genova alla fine di settembre dell’anno scoro con Franco d’Alfonso e Laura Specchio, per parlare di progetti culturali, di Milano, e di un’idea di socialismo che non riusciamo a dimenticare. Mi aveva parlato poi dall’ospedale e del ricovero ma, che stava meglio. Ora che è scomparso vorrei evitare la deriva nostalgica e i tanti ricordi che riverberano in questi casi, perché Carlo Tognoli era ed è, l’immagine più luminosa di un’idea di politica riformista che ha permeato fino all’apocalisse di mani pulite, questa tormentata città.
Sindaco operaio, stakanovista, illuminato innovatore, spericolato nelle scelte ma fermo nelle decisioni e nei rapporti chiari con i miglioristi del PCI, ne hanno fatto un punto fermo nello sviluppo di Milano, come significativa immagine di una modernità che ancora permea la nostra contemporaneità. Tutto quello in cui ha creduto, politicamente, è diventato il telaio urbano della città in cui viviamo, ma quanto era diversa la Milano di Tognoli, non ancora “da bere”, ma già lontana da Scerbanenco, tra terrorismi assortiti, lotte di classe e socialismo light.
Cantore della metropoli meneghina, e di quella identità, capace di coniugare l’anima popolare, operaia con le immense ricchezze di vecchia e recente formazione. Uomo politico puro, con una conoscenza capillare, direi militare, di quartieri, zone, associazioni, sezioni, e una memoria su luoghi, persone e militanti di inarrivabile precisione, che lo rendeva un punto di riferimento, e un profondo conoscitore della storia del socialismo in tutte le sue trasformazioni e della sua intersezione con la città. Con Tognoli scompare l’ultimo sindaco-politico, nel senso più alto, quel ragazzo che aveva respirato l’aria affumicata di sezioni, sedi di associazioni, federazioni varie, quelle riunioni infinite, che erano la naturale palestra/gavetta per quanti volevano praticare la nobile arte della Politica. Senza voler criticare nessun altro, venuto dopo.
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