La politica nell'era dell'ingiuria globale. Urlo e insulto, dunque sono
L'irascibilità, la necessità dello scontro frontale e della rissa non solo verbale ha raggiunto livelli da commedia all'italiana
Fuoco amico. L'era dell'insulto globale, la stanchezza dell'uomo politico tra un popolo di odiatori da tastiera.
Il linguaggio in politica è sempre stato greve, aggressivo, ruvido, qualche volta troppo ironico, e qualche insulto ci stava, ma mai come oggi le tifoserie delle ex-aree politiche si scontrano, si aggrediscono, si sbeffeggiano come masse urlanti allo stadio, dove si è persa di vista anche la finalità del gioco.
Da quasi un anno, dopo l'avvento dei Nuovi, l'irascibilità, la necessità dello scontro frontale e della rissa non solo verbale ha raggiunto livelli da commedia all'italiana, una rappresentazione macchiettistica della politica come neppure i grandi maestri erano riusciti a raccontare sullo schermo.
Ma qui, è tutto vero. Si parte dalle considerazioni generali (bello, brutto, basso, normodotato, frocio) alle qualità intellettuali (è un coglione, un idiota, ha la terza elementare) all'Approfondimento (non ha mai lavorato perché ha sempre rubato, chissà come ha fatto carriera quella lì, si droga, frequenta mignotte e transessuali, leccaculo professionista), in un campionario da mensa militare, con grasse risate da tutte le parti.
Sembra un sogno ripensare alle corna sussurrate ma mai provate del Presidente Leone, eppure siamo un paese aduso allo sberleffo, alla diceria, alla calunnia, dove meglio sospettare che credere, perché quello che sembra è più vantaggioso rispetto a quello che è.
E poi siamo disposti ad appoggiare chiunque pur di attaccare indirettamente gli "Altri": Macron fa bene a dichiararci guerra, Maduro è un principe illuminato, Putin è Barbablù, e Junker, lasciamo perdere.
Forse per questo il solito belga qualunque ha pensato fosse normale insultare il nostro Presidente del Consiglio, senza colpo ferire: siamo diventati pericolosi o siamo tornati ad essere un'espressione geografica?
Siamo sempre noi, non siamo d'accordo su nulla, neppure sui costi dei progetti di ingegneria, sulle qualità progettuali di Renzo Piano, sulla collocazione marxista di Francisco, e lo stesso Papà-Mattarella si è barricato al Quirinale ed evita di commentare anche la crisi Icardi-Inter.
Se l'insulto diventa la prassi naturale nello scambio linguistico, niente rimane esente dalla volontà distruttiva degli aggressori-odiatori capaci di azioni totalmente insensate che si avvitano in un circolo vizioso: io contro tutti e noi contro il resto dell'umanità.
Non ci appassiona Sanremo ma la necessità di aggredire chiunque, anche il divo e "quella sua maglietta fina", nel far-west della rete ci si accoltella con grande libertà, senza capire che non ci sono vincitori ma solo vinti.
Un paese di claques, di fazioni, di loggioni pronti a fischiare a comando, creatori di fantasiose forme volgari, dove nessuno è più al riparo dalle trappole mediatiche; e anche se non ci ricordiamo se abbiamo votato per Ultimo o per Mahamood, che importa: urlo e insulto, dunque sono.
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