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Il buono, il brutto e il cattivo
Padellaro e gli altri talkisti di professione. Il successo delle frasi fatte
Antonio Padellaro e Marco Travaglio (LaPresse)

Non è facile parlare del talkista di professione, cioè quella specie nata da profonde mutazioni genetiche del nobile mestiere del giornalista, che assomiglia alla tappezzeria sbiadita di alcuni studi televisivi, ormai vere zattere alla deriva dell’intrattenimento più che dell’approfondimento.

Il Padellaro Antonio, già direttore di giornali ed editorialista di punta, spesso spezzata, attraversa quotidianamente e per ore, ogni possibile format della televisione italiana, e l’argomento per cui viene invitato è sempre lo stesso, gli sgomenti “present-attori” gli chiedono solo: perché gli italiani hanno votato questi squallidi individui, ignoranti, fascisti e senza charme?

Il suo vivace volto statico, il suo eloquio cool-romanesco è sempre alla ricerca di una risposta che dopo molti mesi tarda ad arrivare, e si capisce la sua profonda amarezza nel non riuscire a manifestare il suo profondo disprezzo nei confronti di questi dilettanti allo sbaraglio, nel non capire perché non lo capiscano, e soprattutto dove cavolo vuole andare a parare.

La scelta di un nemico, Silvio docet, è fondamentale, che sia Craxi, Salvini o il Piddi di Renzi, bisogna sempre avere un bersaglio facile da colpire, e sempre con un’arma impropria, esagerata.

Il talk e i talkisti (Giannini/De gregorio/Damilano/Scanzi/Travaglio e seconde linee), si limitano a rappresentare l’agone delle frustrazioni di quanti sanno benissimo di non potere portare alcun benefico alla discussione, figuriamoci alla comprensione.

Non è colpa del grigio Padellaro, ma di quello quello che lui implicitamente rappresenta: l’incapacità di leggere le trasformazioni, anche negative, senza limitarsi a languire nel sogno dei bei tempi delle “terrazze e terrazzini de sinistra”.

Credo che il piccolo esercito prezzolato di intrattenitori politici, politicizzati, naturalmente questo vale anche per gli altri, dall’altra parte, ha capito che in questo paese basta inventarsi una maschera, ci perdoni Pirandello, per entrare nella perenne Commedia all’italiana, dove tutto sembra recita, dove tutto diventa burla.

In questo marasma dove tutto si lega, dove ogni cosa non ha un valore specifico se non per il fatto di essere registrata e guardata svogliatamente da un pubblico sempre più esiguo, questo nuovo settore dello spettacolo, non crea opinionisti ma caratteristi, e Padellaro agisce secondo le regole dettate da questo grande carrozzone circense.

Fanno pochi danni, spostano zero consensi, e producono idee che assomigliano all’aria fritta che respiriamo, ma che importa: essere pagati per esprimere le proprie frustrazioni davanti alla telecamera e sempre meglio che lavorare, come scrivere libri a gettone o addirittura mettere in scena il Berlusconismo, il Renzismo o il Salvinismo.

Nella logica della semplificazione c’è posto per tutti, e il talkista lo sa perfettamente che comunque, presto o tardi cambierà la carovana al potere, e si potrà ricominciare a modificare il tiro, cercando nuove ovvietà, frasi fatte e desuete, luoghi comuni, vuoi mettere il piacere di non sapere niente di quello che accade ma continuare, ogni sera, a ripeterlo?

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