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Il buono, il brutto e il cattivo
Berlusconi in campo? Silvio non farlo. Auto-dissoluzione finale del Caimano
Foto: LaPresse

Alla fine rimane quello più simpatico di tutti, ma adesso con le sembianze molto cambiate rispetto alla prima “discesa in campo”, e “l’Italia è il paese che amo” si aggiunge un briciolo di tenerezza e di nostalgia perché nei suoi occhi leggiamo una debolezza e un’incertezza sul risultato che non avremmo mai immaginato di vedere.

Silvio non poteva sopportare di restare fuori dall’agone politico-mediatico col giovane Bruto ormai sicuro di poter compiere il tirannicidio, e pur considerandolo quasi un figlio e  con una dote elettorale enormemente maggiore, il nostro Cesare non può sottrarsi a quella che si preannuncia come la sua ultima debacle.

E’ nel suo codice genetico essere un vincitore, sprezzante e canaglia, ma pur sempre vittorioso in ogni campo, dal calcio, alle donne, dalle imprese di costruzioni alle televisioni, e lasciamo perdere come, quando e perché, Silvio è Silvio e non potevamo aspettarci niente di diverso da questa prossima e definitiva uscita di scena.

Lontani i tempi di olgettine e cene galanti, di pacche sulle spalle a tutti i capi di stato, eccolo tornare dove non può più fare a meno di allontanarsi, dal 1994, venticinque anni, di ombre e luci, iniziati quasi quando gli altri anelano la Quota 100.

Silvio non farlo, neppure i tuoi collaboratori servili sono convinti di questa mossa che però è tipicamente berlusconiana, di questo azzardo continuo che ti ha incendiato tutto il corso della tua lunga vita.

Ma il pensionamento non è per lui, vende il Milan ma compra il Monza tanto per non perdere l’esercizio, forse per la prima volta consapevole del campo in cui lo fanno giocare, e lo scenario politico corre troppo veloce e usa mezzi tecnologici che non condivide, questi giovani comunicano meglio, lo ignorano, e hanno tanti, tanti voti.

Silvio non può restare a guardare dai giardinetti dove far passeggiare i tanti nipoti, un paese che considera in qualche modo un suo cespite, e deve ancora interrogarsi perché gli italiani che tanto lo hanno amato, non lo seguono più, lo hanno abbandonato, anzi peggio dimenticato.

Non serviranno i messaggi telefonici ai convegni di Tajani e gli spot con le luci giuste per conquistare quei voti che Matteo-Bruto non vuole più, le sue promesse sono meno credibili di quelle pur incredibili dei giovani, e ad Arcore davanti alla villa si respira un’aria di profonda malinconia: nessun vertice, nessuna televisione, neppure le sue, nessun comunicato, tutto tace.

Rimaneva il suo corpo, il suo involucro decadente da dare in pasto ai suoi elettori stanchissimi, nella speranza di creare almeno uno choc, ma l’effetto sorpresa sembra troppo debole per essere trasformato in una strategia politica, sia pure disperata.

Allora, Silvio non farlo, mettiti in malattia per non affrontare questo sporco lavoro, questo non è più il paese che raccontavano le tue tivvù, e tutti i tuoi vecchi compagni di merende, sono in pensione da tempo, fattene una ragione, riascolta una canzone dei tuoi bei tempi andati: bisogna saper perdere, e per una volta fallo con classe.

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