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Cose Nostre
Bene Conte picconatore, ma perché non è andato a parlare in Parlamento?
Foto: LaPresse

Giuseppe Conte tira fuori gli attributi e bacchetta senza giri di parole i suoi partner politici. In particolare consegna un messaggio preciso ai suoi due vicepremier e azionisti di maggioranza, Luigi di Maio e Matteo Salvini, accusati di aver vissuto in una permanente campagna elettorale, fatta di super-eccitazioni e logomachie, continui conflitti comunicativi, polemiche sterili e discussioni inutili che sottraggono energie e distolgono dagli obiettivi di un serio governo del cambiamento, chiamato dagli italiani a fare “la rivoluzione”.

L’avvocato del popolo, come si definì al momento dell’inserimento, ribadisce la sua terzietà e indipendenza politica, àncora il suo operato alla Costituzione, si radica nel Contratto su cui è nato il governo, esalta il metodo del confronto dialettico e della migliore argomentazione (metodo della democrazia deliberante), condanna la rissa e l’urlo, sollecita un cambio di passo e invita i due vicepremier ad assumere impegni di lealtà e collaborazione pubblici, molto precisi, trasparenti e vincolanti.

Non è un ultimatum, non sarebbe nel suo stile. Ma Conte non vuole vivacchiare, né tirare a campare. Chiede di girare pagina e lavorare per consolidare la fase due, degli investimenti, della crescita e della ripresa, dopo la fase uno dedicata con il reddito di cittadinanza, quota 100 e il decreto dignità a rispondere al bisogno di protezione manifestato dagli italiani.

Chi credeva che Conte fosse un re travicello deve ora ricredersi.

Il premier, dopo un anno di lavoro, ha ormai acquisito dimestichezza ed esperienza ed è entrato autorevolmente nel ruolo, confortato dal consenso popolare.

Capisce di essere l’ago della bilancia di questo governo che non ha alternative. E allora mette le sue carte sul tavolo trasformandosi in picconatore. Aspettiamo ora le risposte di Salvini e di Maio. Augurandoci che non siano figlie di tatticismi e furbizie e che contengano uno sguardo lungo e una strategia vasta. Risposte da statisti e non da capipopolo e influencer.

Un solo rammarico: perché questo discorso il premier l’ha fatto in una conferenza stampa e non in Parlamento, che è la sede naturale per consentire a tutti i partiti di esprimersi in un momento così delicato per il futuro del governo? 

Conte dopo il voto europeo, un vero e proprio tsunami che aveva delegittimato l’attuale parlamento, doveva salire sul Colle e aprire il percorso di verifica rassegnando subito il mandato nelle mani del presidente della Repubblica.

E Mattarella avrebbe dovuto parlamentarizzare la crisi mandando il presidente del Consiglio davanti alle Camere e consentendo così ai due alleati riottosi di definire le proprie posizioni nella solennità dell’aula parlamentare. Ma anche alle opposizioni di poter mettere agli atti le loro critiche e le loro proposte alternative.

E invece Conte e Mattarella alle aule del Parlamento hanno preferito la sala stampa, i riassunti e i rimpalli sulle agenzie, le scaramucce su Facebook. Facendo cioè esattamente come fanno Salvini e Di Maio, accusati di ricorrere alla “piazza infotelematica”.

Una contraddizione evidente, un errore istituzionale imperdonabile per due professori di diritto come Conte e Mattarella.

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