Ora ai De Benedetti restano le cliniche per anziani, mentre Elkann deve trovare il Marchionne dell’editoria
Era il gioiello, il fiore all’occhiello dell’editoria italiana. E’ divenuto un catorcio di cui liberarsi al più presto. Così il gruppo Repubblica-Espresso nelle mani del gruppo De Benedetti. In una trentina d’anni.
In mezzo lo tsunami della rivoluzione Internet, che ha spazzato via incapacità manageriali e cecità imprenditoriali di editori-finanzieri e lobbisti improvvisati riducendo il costo del controllo del primo e più influente gruppo imprenditoriale italiano (quotidiani, settimanali, radio, concessionarie di pubblicità, arricchito dal recente arrivo de La Stampa e del Secolo XIX) a 100 milioni di euro, ossia il costo di un palazzotto in Citylife, dove abita la blogger e vera new editor Chiara Ferragni oppure il prezzo di un calciatore internazionale di livello.
Gli Agnelli, acquirenti ottimisti, avranno il loro bel daffare per rimettere a posto i conti e chiudere i buchi sempre più larghi di un sistema editoriale oberato di personale, doppioni, prodotti obsoleti, che è una sorta di colapasta dove in attivo sono solo le radio.

Non ci riusciranno se non capiranno una cosa elementare e (almeno a noi pionieri dell’editoria in rete) chiara da almeno 25 anni: bisogna spostare il quartiere generale su Internet, collocare cioè in rete e nell’informazione in tempo reale il cuore pulsante intorno a cui far ruotare per i rami tutto il resto, spostando la rete dal sottoscala ai piani nobili e da luogo periferico da riempire di trombati nel vero hub di un progetto multicanale e multimediale.
Ma ci vogliono uomini nuovi, manager dei bit e giornalisti freschi e aggiornati, esperti di tecnologie e nuovi linguaggi digitali, seo e social, insieme con contenuti confezionati per pubblici che hanno abbandonato le edicole e si informano sugli smartphone, specie i giovani della cosiddetta generazione Pollicini.
Non sarà facile, a causa dei gravi ritardi accumulati in questi trent’anni, competere con colossi globali come Facebook, Google, Amazon, che son partiti ben prima e hanno egemonizzato la rete.
Auguri dunque a John Elkann, si è preso un compito forse più gravoso del rilancio della Fiat. Ma deve trovare il Marchionne dei giornali.
E a Carlo De Benedetti, il rentier che aveva fatto il diavolo a quattro per cuccarsi Repubblica (dalla scalata alla Mondadori alle incursioni nella famiglia Formenton agli esposti in procura alla mediazione andreottiana di Ciarrapico) e che proprio grazie a Repubblica era riuscito a trasformarsi da rider di Borsa a tessera numero uno del Pd e uomo più influente d’Italia, l’augurio di una serena vecchiaia in Svizzera.
Dopo aver scassato l’Olivetti, le banche, l’energia di Sorgenia, l’uomo con le camicie botton-down di Brooks Brothers e l’inglese fluente che si era montato la testa sentendosi il nuovo Agnelli e voleva scalare il Belgio si ritiri nel suo eremo svizzero a contare i soldi dei suoi raid borsistici. Il tempo dei brain-storming con il premier a Palazzo Chigi o col governatore in Banca d’Italia è finito.
Per lui e per i suoi figli Rodolfo e Marco restano solo le cliniche per gli anziani, dove si muovono meglio rispetto all’editoria.
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