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Cronache dal mercato dell'arte
Salvatore Garau, arte contemporanea in Chiesa
foto di Paolo Sanna Caria

Le opere di Salvatore Garau in esposizione presso la Basilica romanica di Santa Giusta

Il rapporto tra arte e chiesa, che è sempre stato forte, basti pensare al Rinascimento, negli ultimi decenni, tranne rarissime occasioni, è scomparso. Se ne è detto dispiaciuto lo stesso Cardinale Mons. Ravasi (Presidente del Pontificio consiglio della cultura) durante una sua illuminante lezione. Non pensiamo a luoghi che, pur essendo stati dediti al culto, ora ospitano collettive d'Arte Contemporanea, ma a chiese dove si tengono regolarmente tutte le funzioni religiose; c'è una bella differenza!

La Basilica romanica di Santa Giusta (Oristano), eretta nel XII secolo, rappresenta una eccezione nel panorama non solo nazionale, e fa la differenza. Già nel 2006, pochi lo ricordano, ospitò un'installazione di Salvatore Garau, “Ichthys Sacro Stagno” che consisteva nell'allagamento delle due cappelle laterali con acqua e pesci dello stagno attiguo; tutte le funzioni religiose si tenevano in compagnia dell'opera e dei muggini che vi guizzavano dentro. Da aprile, una delle due cappelle ospita di nuovo, ma stavolta in permanenza per cinque anni, due opere, sempre di Garau, una immateriale “Volto di Dio” e una grande tela “Pala d'Altare per questo e altri pianeti”.

Non era mai successo, finora, che un'opera immateriale fosse presentata in una chiesa consacrata. E nemmeno che fosse ospitata una tela che pone domande rivolte a un futuro per ora insondabile e alle quali non possiamo (per ora) dare risposte. Diciamolo con certezza: due opere coraggiose. E coraggiosi e lungimiranti sono stati il parroco di Santa Giusta e l'Arcivescovo, che hanno consentito l'esposizione. Il titolo della Pala d'Altare già espone e sottintende un forte quesito: “Esisterà il concetto del Sacro in qualche pianeta della nostra o di un'altra galassia dove, ormai è certo, migliaia di mondi conservano una qualche forma di vita?” si domanda Garau “Sulla terra la nostra esistenza è legata allo spirito e alla sacralità che lo avvolge. Lontano dalla Terra, oltre alla materia, esisterà la coscienza dello spirito?”.

Il Maestro sardo, da tempo affascinato da questa domanda, pone l'accento sul mistero dell'insondabile e immagina di portare in quell'ignoto una Pala d'Altare terrena, concepita per suggerire, a suo modo, il mistero del Sacro come noi lo percepiamo, anche in altri mondi. La tela, dipinta assieme ad altre 33 a cavallo del 2016 e 2018, sollecita riflessioni e domande che adesso anche la Nasa si pone. L’agenzia spaziale ha infatti riunito l'anno scorso 24 teologi da tutto il mondo per dibattere proprio su questo argomento. Ecco un esempio lampante di quanto gli artisti, se tali possono definirsi, precedono gli eventi e sollecitano riflessioni.

Interessante notare che la Pala d'Altare è dipinta sul PVC delle enormi pubblicità. Con Garau, un materiale dismesso nato per promuovere consumismo estetico, diventa ora superficie per introspezione mistica. La figura rossa centrale, indefinita, (ricorda impostazioni rinascimentali), suggerisce una sorta di ascensione; s'invola immersa nel bianco candore del cielo circondata da altre figure che pare si stiano formando nel momento in cui le guardiamo. “Sante figure rosse sul cielo di latte”, l'esatto titolo di questa suggestiva Pala.

L'altra opera “Volto di Dio”, che nella stessa cappella fronteggia la tela, per Salvatore Garau è il raggiungimento supremo della sua idea di immaterialità: “Il vuoto, solo apparente”, afferma l'artista, “In realtà è imbevuto di vita e di mistero sacrale. L'energia Divina ha reso il vuoto opera manifesta, e dal vuoto è arrivato il tutto”. Nel pensiero creativo di Garau l'artista può descrivere le creature, ma non il Creatore, può solo accettare l'impossibilità di dipingere il Volto di Dio, cioè del “Tutto” che è pura luce ed energia creatrice”. L'unica azione che Garau compie creando quest'opera, illuminata da una luce tenue, è restare in silenzio e lasciare immaginare a ciascuno, nell'intimità della propria anima, il “suo” Volto di Dio. “Solo il titolo, una tenue luce e la totale assenza sulla parete di qualunque intervento fisico” afferma ancora Garau, “sono già un'immensa presenza”.

salvatore garaufoto di Paolo Sanna Caria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'opera arricchisce il concetto dell'immaterialità, tanto caro al Maestro, di una nuova intensità di pensiero e tocca corde profonde legate alla sacralità dell'esistenza, costringendoci a guardarci dentro in un momento in cui tutto sembra andare verso l'artificiale di una mera esteriorità. È un deciso passo in avanti attorno al concetto dell'invisibile che Garau, due anni fa, ha maturato, all'interno del suo lavoro, durante la pandemia. Grazie alla vendita all'asta di due opere immateriali, ha creato accesi dibattiti in tutto il mondo, rendendo la parola “invisibile” una delle più usate (e abusate) in questi ultimi due anni.

Con l'inesorabile avanzare dell'intelligenza artificiale, ora più che mai, abbiamo necessità di arte come questa, che riprenda a parlarci con sincerità e che ci ponga domande che ci lascino felicemente spaesati

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