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Lo sguardo libero
Caro presidente Conte, no al populismo, faccia gli interessi degli italiani
Foto LaPresse

“Se il populismo è ascoltare la gente, allora siamo populisti”, sostiene il neo presidente del Consiglio del Governo giallo-verde Giuseppe Conte, che vorrà così semplificare il nocciolo del contratto tra 5 Stelle e Lega: stare dalla parte degli italiani, che da troppo tempo subiscono in modo ormai insostenibile l’umiliazione del lavoro precario, l’immigrazione clandestina (600.000 non aventi diritto), l’impoverimento,  il futuro incerto.

Il populismo è un atteggiamento negativo, che, si legge nel dizionario Treccani, “esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi”.

A ben guardare (nonostante la verità possa far male) il popolo può essere mentalmente aperto, buono, onesto e propenso al bene collettivo, ma, culturalmente parlando, è tecnicamente privo di intelletto, sentimentale, invidioso, ingiusto nel riconoscere il merito e il successo altrui.  Ciò è grosso modo una declinazione di quanto sostengono (si accolga il termine, in modo superficiale, senza cioè spiegare le ragioni della tesi) Silvio Berlusconi o i cosiddetti poteri forti, come il New York Times quando, riferendosi alla nuova maggioranza politica, ha parlato di “miserabili sollevati dalla mare antiliberale”.

Si lasci perdere se “l’allora siamo populisti” di Conte sia o no un lapsus che metta in luce una visione dal basso verso l’alto (popolare appunto) che trascuri il contesto complessivo (visione dall’alto): la finanza e la speculazione internazionali sui titoli di Stato e la Borsa italiani e i vincoli dell’Europa sul debito e il bilancio.

Idea brillante di Berlusconi fu la scelta del nome del partito da lui fondato: Forza Italia. Caro presidente Conte, riceva: faccia e parli degli interessi, più che del popolo, degli italiani.

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