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Lo sguardo libero
Caso Di Maio, quando un ministro deve lasciare l’incarico?

La vicenda che sta coinvolgendo il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ripropone il tema dell’opportunità, del senso del limite, delle proporzioni per cui un politico in casi come questi debba dimettersi.

La premessa è che nell’impresa del padre Antonio, dove anche il vice-premier fu assunto, ci sarebbero stati pagamenti in nero – e dal ministero di via Vittorio Veneto dipendono gli ispettori che verificano il rispetto delle leggi sul lavoro appunto – e su un terreno, sempre di proprietà del padre, sono in corso accertamenti per verificare se ci siano abusi edilizi.

Sembra essere il tipico caso in cui non è tutto bianco o tutto nero, in cui ciascuno può farsi una sua opinione poiché non è stata ad oggi riscontrata una responsabilità di Luigi Di Maio. 

Questi di seguito potrebbero essere alcuni elementi da considerare nel farsi una convinzione.

1 - La proprietà della società dove risulterebbero pagamenti in nero è stata ceduta al leader penstastellato e alla sorella al 50% nel 2014 (fonte: Corriere della Sera), un anno dopo che l’attuale vice-premier fu eletto in Parlamento nel marzo 2013.

2 - Appartenere a una famiglia in cui un esponente commetta un reato non significa che gli altri membri  facciano lo stesso (per fare un esempio, il fratello di un rapinatore non è detto che lo sia anch’egli).

3 - Maria Elena Boschi, ministra delle Riforme e dei rapporti col Parlamento del Governo Renzi, fu oggetto di attacchi politici molto forti da parte del M5S per via del caso che coinvolse il papà della Boschi, vicepresidente di Banca Etruria, uno degli istituti di credito scampati al crack grazie al decreto salva-banche del febbraio 2017.

4 - I 5 Stelle in tema di giustizia sostengono a ogni piè sospinto: “Chi sbaglia deve andare in galera!”.

5 - Si guardi all’estero: il ministro della Cultura svedese  Cecilia Stegö Chilò  si dimise nel 2006 per non aver pagato il canone tv e la colf in nero; quello tedesco dell’Istruzione Annette Schavan nel 2013 per aver copiato la tesi di dottorato; quello britannico dell’Immigrazione Mark Harper nel 2014 per avere retribuito in nero e impiegato come colf una immigrata non registrata.

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