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Prima serata
Ascolti tv, Sigfrido Ranucci: "Stagione d'oro per noi di Report. Montante? Lo Stato deve fare chiarezza"
SIGFRIDO RANUCCI (Lapresse)

Cosa ci riserva la nuova serie di Report?

«Intanto una puntata in più rispetto allo scorso anno. Poi le solite inchieste ruvide, con lo sguardo di Report, come avete già avuto modo di vedere con le prime messe in onda». 

Una partenza col botto…

«Si, oltre ogni aspettativa. Punte anche del 12.13% di share, con una media dell’8%. Vanno benissimo anche le repliche della trasmissione, con moltissimi giovani che ci guardano. Un pubblico che sta più sui social e che fa un’eccezione per Report».

 La puntata su “Moscopoli” dimostra che l’ondata anti immigrati era pilotata, giusto?

«Siamo partiti da una domanda: che mestiere fa Savoini, l'ex portavoce di Salvini che il 18 ottobre scorso era seduto al tavolo con i Russi, con l'intento di portare soldi freschi nelle casse della Lega? Il giornalista o il mediatore d'affari? E ci siamo chiesti se quella al Metropol, l'hotel di Mosca, fosse una semplice storia di tangenti, per altro non trovate a oggi, o un tassello di un mosaico più grande. Alla fine indagando su Savoini - Report lo sta facendo da un anno - abbiamo scoperto un'internazionale sovranista, una Santa alleanza formata da oligarchi ultranazionalisti russi ed esponenti della destra americana, quelli delle fondazioni ultracristiane che ha fatto arrivare un fiume di denaro in Europa. Report ne ha trovato un miliardo di dollari per far implodere l'Unione europea, finanziando movimenti e partiti religiosi, quelli contro l'aborto e i diritti dei gay». 

Cosa rispondi a chi vi attacca per accanimento ‘anti lega’?

«Le stesse cose che abbiamo risposto a chi ci accusava di essere contro il PD di Renzi, contro Di Pietro, il M5s, o Forza Italia in passato o a Cuffaro. Report ha sempre mantenuto il suo sguardo, senza fare sconti a nessuno, perché ha considerato come unico editore di riferimento il pubblico che paga il canone. Riceviamo 75 mila segnalazioni ogni anno, rappresentiamo lo sfogatoio d'Italia dentro ci sono anche le liti condominiali, ma sono un patrimonio di originalità».  

Come vede questa Rai?

«Io sono nato giornalisticamente in questa azienda. Sono stato libero, e anche sentito libero. E voglio dire a tutti i giornalisti Rai, sentitevi liberi, perché in questa azienda si può. Ce ne sono tanti che sono formidabili professionisti, che si muovono come se avessero paura di dove poggiano i piedi». 

Quale giovane giornalista vorrebbe avere nella sua scuderia?

«Potrei dire che ho già i migliori, che stanno crescendo. Penso a Lucina Paternesi, Cecila Bacci, Giulia Presutti, Antonella Cignarale, Adele Grossi, Alessia Marzi, e hanno un encomiabile esempio vicino, quello dei più anziani. e penso a Bernardo Iovene, Michele Buono, Giovanna Boursier, Paolo Mondani. E anche stando a stretto contatto con la generazione di talenti di mezzo: Giorgio Mottola, Luca Chianca, Emanuele Bellano, Claudia Di Pasquale e Giuliano Marrucci».

Montante ha avuto una pesante condanna. Pensa si sia fatto chiarezza su di lui o che restino dei misteri?

«Per fare piena chiarezza sul ruolo di Montante, forse bisognerebbe che lo Stato avesse la forza di processare sé stesso, sono molte le domande aperte. C’è qualcosa di inconfessabile nel ruolo di Montante? Cosa ha veramente rappresentato nella storia del nostro paese? È stato il garante di un nuovo patto tra Stato, imprenditori e Mafia? Distinguere, quando l’acqua è torbida di fango, l’antimafia vera da quella falsa è quasi impossibile. Se in questa storia e in quella della trattativa Stato-Mafia ci si riuscirà è solo grazie a magistrati e forze dell’ordine che praticano l’antimafia vera. Semmai il problema è capire cosa è oggi la Mafia. Nella storia che abbiamo raccontato abbiamo visto uomini dei servizi, banchieri, imprenditori, politici double face. Lo sono stati per ragioni di carriera o per ragione di Stato? Con questa inchiesta abbiamo percepito il battito di un cuore di tenebra dello Stato. Siamo stati vicini a vedere un organismo criminale mutageno, che si nutre nelle e delle istituzioni. Qual è stata e quale sarà la sua funzione? Lo Stato riuscirà a liberarsi di questo “male dentro”? Saprà, se necessario, processare sé stesso?» 

Tornerete sull’argomento?

«L’influenza di Montante non si limita al mondo di Confindustria, della sicurezza pubblica, dell’industria, del ciclo e motociclo, di Rete Imprese, dell’immobiliare fino al cuore dello Stato. È un organismo mutante che contamina anche settori inaspettati, pubblici e privati».

Si sa poco del Ranucci persona, al di là della brillante carriera giornalistica… Una scelta?

«Ho sempre vissuto in famiglie dove sulla tavola, con il pane e l'acqua, non mancava mai la dignità, la dedizione al lavoro, l'umiltà, che significa anche ripararsi dalla luce del palcoscenico. Le racconto un aneddoto: il giorno del mio compleanno, da ragazzo, mi infastidiva chi veniva a farmi gli auguri, mi rifugiavo sotto un tavolino e non uscivo più, fino a quando mio padre a colpi di cinghia mi fece uscire e per insegnarmi che era giusto portare rispetto. Ora la faccia ce la metto, ma solo dove c'è da difendere o promuovere il mio lavoro. Per il resto mi riparo ancora sotto il tavolino, con le mie fragilità. Mio padre è stato un grand'uomo, irriducibile, onesto, leale. Ha onorato la divisa delle fiamme gialle fino alla fine. Faceva parte del gruppo sportivo, correva in moto ed è stato campione d'Europa a squadre. Lui mi ha insegnato a camminare con la schiena dritta nella vita, a guardare sempre negli occhi chiunque hai davanti, ad andare avanti anche quando non sei in forma, in 30 anni di Rai forse sarò mancato 2 giorni per malattia. Mi ha insegnato a non mollare mai. Lui, con un tumore ai polmoni e metastasi, ha fatto tapis roulant fino a due giorni prima di morire. Il grande rammarico è che dopo essersi emozionato nel vedere l'ultima puntata di Milena Gabanelli in cui mi passava il testimone, è morto e non mi ha mai visto condurre una puntata di Report, una trasmissione che adorava».    

Ci racconta un suo hobby?

«Amavo coltivare le rose e seguire un acquario marino. Ma non riesco più da anni, passo il mio tempo libero a difendermi dal lavoro che faccio. Ho attraversato indenne circa 70 tra querele e risarcimenti danni, ne ho aperte altrettante. Negli ultimi due mesi sono piovute querele e richieste di risarcimento milionarie, da parte di Eni, Ubi del banchiere Bazzoli, Saras di Moratti, l'imprenditore delle catene farmaceutiche Pessina, Mercedes, l'ex capo dei servizi di sicurezza Pollari... Poi i politici come Siri, magistrati... Una ne è arrivata anche da un signore accusato di mafia, nipote di un boss che ha ordito le stragi degli anni ‘90. E mi ritengo fortunato, perché all'epoca sparavano, oggi usano carte bollate».  

 La criminalità organizzata è una piaga. La ‘Ndrangheta resta dominante. Ma se ne parla molto di meno…

«È proprio qui che le mafie hanno vinto, prima il silenzio lo ottenevano con la pistola, oggi non hanno bisogno di sparare, in mancanza di omicidi eccellenti, il problema mafia si è ridotto in una notizia breve. Quando invece la sua trasformazione in colletti bianchi, la sua infiltrazione nella massoneria coperta, nei gangli dello Stato, richiederebbe un presidio costante dell'informazione. Un'informazione competente anche sui flussi finanziari. Perché si nasconde il potere della mafia e la capacità di mettere sul piatto, in qualsiasi paese si presenti - e oggi si presenta e sceglie quei paesi meno strutturati a combattere la mafia - una mole impressionante di denaro. In tempi di magra, è l'asso nella manica».

È vero che sta per lasciare la Rai come abbiamo letto?

«È vero che ho avuto offerte, ma qui sono nato, sono libero, e conduco la trasmissione d'inchiesta più bella della televisione italiana. Se dopo 25 anni Report è ancora sulla cresta è perché ha vinto il romanzo dei fatti». 

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