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Prima serata
Rai, con Michele Santoro si guarda al passato per illuminare il presente
Foto LaPresse

La Rai sta mettendo in atto operazioni di ‘puntellamento’ della memoria storica che non vanno archiviate frettolosamente e con sufficienza. In queste ultime settimane sono andate in onda la serie tv “Il Cacciatore” su Rai 2, ispirata al magistrato Alfonso Sabella, “Prima che la notte”, film dedicato al giornalista Pippo Fava su Rai 1, “La mafia uccide solo d’estate”, fiction tratta dall’omonimo film diretto da Pif sulle attività di Cosa Nostra tra gli anni ’70 e ’90, anche questa sulla prima rete Rai. Ma l’elenco commemorativo non finisce qui. Pensiamo alla programmazione relativa alla settimana della legalità e all’impegno al fianco dei giornalisti minacciati, come, ad esempio, lo speciale di Agorà su Rai 3 trasmesso ieri mattina o i puntuali approfondimenti sulle figure di Falcone e Borsellino del TG2 e de “I fatti vostri” su Rai 2, in versione ‘engagée’.

Uno sforzo industriale e produttivo importante, che esprime la quintessenza della filosofia che sottende il servizio pubblico in senso più puro: fare informazione, parlare ai giovani  nonché contribuire  modellare una coscienza collettiva ed evitare che alcuni momenti  della nostra storia vengano rimossi.

La messa in onda di “M” di Michele Santoro è un tassello importante di queste operazioni e si inserisce perfettamente nel nuovo stile della  missione sociale della Rai. Santoro ha affrontato varie fasi professionali e politiche, alcune felici e altre meno, ma è sicuramente - assieme a Giovanni Minoli, Maurizio Costanzo, Bruno Vespa, Milena Gabanelli e Gregorio Paolini – uno degli inventori della televisione concepita nel suo linguaggio giornalistico più moderno.

È stato politico, capo popolo, cronista, populista, estremista di sinistra e moderato di sinistra, direte, e  siamo d’accordo. Ma Santoro resta uno dei simboli del piccolo schermo non solo per i suoi codici linguistici innovativi (il suo gruppo fu tra i primi a comprendere l’importanza della tecnologia e dei social  ), ma anche per la sua capacità di insegnare e formare talenti che ancora oggi costituiscono in parte l’ossatura autorale e tecno-strutturale della Rai.

Nondimeno, con “M” – in onda attualmente con la sua terza stagione il giovedì sera su Rai 3 - il conduttore salernitano fissa un nuovo momento del suo percorso. Una sorta di missione omerico-televisiva in cui, attraverso episodi di storia recente, offre all’utente spunti per rileggere cosa stia accadendo nella nostra società.

Per fare questo ha apportato sostanziali modifiche ai suoi stilemi narrativi, prediligendo uno stile molto calvinista, scenograficamente essenziale.

Gli urlati collegamenti di piazza  stra-ricalcati nei decenni da numerosi epigoni sono stati completamente cancellati. Comprensibile: l’urlo scomposto e viscerale dell’indignazione da piazza  cozzerebbe con la rinnovata Weltanschuung santoriana, non essendo più  funzionali alla nuova ritmica narrativa.

L’allestimento dello studio, screziato con  forti tinte rosse e nere (colori molto cari al nostro), ricorda in tutto e per tutto un palcoscenico teatrale perfetto per ambientare la ‘mise en scène’ della recente storia d’Italia e delle sue pagine oscure.  Il tratto cromatico estremamente elegante  è volutamente proiettato per enfatizzare  corpo del conduttore. Ma  serve anche a valorizzare le interpretazioni degli attori chiamati a incarnarsi nei personaggi simbolo di ciascuna puntata in una ottica pedagogica. 

Il pubblico in studio  appare più  scolpito che vibrante – come era invece  una volta -  e risulta sostanzialmente soggetto  passivo, ormai sostituito dai simulacri dell’interattività digitale.

Il conduttore si rivela più neutro che in passato, avendo egli abbandonato qualsiasi punta di estremismo operaista e giustizialista a favore di una sua  funzione maieutica che estrapoli  dall’ospite o dalla storia più una verità  recondita che una tesi dal sapore dogmatico.

Ne esce quasi sempre un prodotto molto originale, animato da spunti interessanti; non privo di rivelazioni giornalistiche, anche se, forse, di minor appeal per il grande pubblico cui Michele era avvezzo negli anni d’oro. Poco importa: Santoro diventa l’ufficioso sacerdote di un percorso editoriale della RAI, così sintetizzabile: non dobbiamo rinunciare di affrontare i nodi dello Stato, del potere e della corruzione,  ma si può penetrarne l’essenza  e dipanarne le trame anche attraverso la forza trasfigurativa della storia.

Le mini-fiction documentaristiche che inframezzano il talk sono commestibili solo perché in ballo ci sono lui e il suo gruppo, che fungono da marchio di garanzia. Tra gli elementi sicuramente  più riusciti figura il contributo degli attori in studio - talvolta  pesi massimi come Remo Girone, Paola Pitagora e Ninni Bruschetta - perfetti nel trasmettere attraverso la finzione recitativa chiavi d’interpretazione dei fatti lontani negli anni con rimandi  estremamente attuali. Il dibattito è aperto.

M di Michele Santoro, un talk che piace ai laureati

I primi due appuntamenti con “M” sono andati in onda nel gennaio 2017 su Rai 2, totalizzando una media di ascolto di circa 830 mila spettatori e il 4,1% di share.

Nella stagione 2018 il programma di Santoro va in onda su Rai 3: la prima puntata (11 gennaio 2018) è stata in assoluto la più seguita, con 1.145.000 spettatori e il 4,8% di share.

Finora la trasmissione ha ottenuto una media di 919 mila spettatori (share 3,9%); l’ultima puntata (giovedì 17 maggio) ha totalizzato però solo 660 mila spettatori (2,8% di share).

Il profilo dello spettatore è leggermente femminile (53% del totale); il 70% dell’audience ha più di 55 anni. Solo il 7% del totale ha meno di 35 anni.

Sui target ad alta scolarità (laureati) che rappresentano il 15% del totale la trasmissione ottiene in media il 6% di share.

L’ascolto in Sardegna e Lazio (share 5,5%) e Abruzzo e Molise (5%) e Toscana (4,8%) determina una maggiore affinità con le regioni del Centro Italia; i risultati più bassi si registrano nelle regioni del Meridione: in Sicilia e Puglia il programma non va oltre il 3% di media. Sotto la media anche la Lombardia (3,5%) e l’Emilia Romagna (3,7%).

Lo rivela la ricerca condotta da Anthony Cardamone, a capo del dipartimento ricerche di Omnicom Media Group, in collaborazione con l’agenzia Klaus Davi & Company

Spigolature

La trasmissione più vista nel prime-time di ieri è stata il sopracitato film su Rai Uno (rete diretta da Angelo Teodoli) “Prima che la notte”, storia di Pippo Fava, giornalista ucciso dalla mafia nel 1984: audience di 3,4 milioni di spettatori, share del 16%;

Andrea PancaniAndrea Pancani
 

Bella sfida in access prime-time tra Rai 2 e Rete 4, con “Quelli che… dopo il tg” sulla rete diretta da Andrea Fabiano che ottiene il 4,2% di share (che corrisponde a 1.068.000 spettatori) e “Stasera Italia” sulla rete di Sebastiano Lombardi che lo supera di poco con il 4,6% di share (1.093.000 spettatori);

Buon risultato per “Coffee Break” su La7 (rete di Andrea Salerno): lo spazio mattutino di approfondimento condotto da Andrea Pancani ha informato 328.000 spettatori, registrando il 6.4% di share;

Per ciò che riguarda le emittenti non generaliste, Mediaset 20 è stato il canale più seguito in prima serata grazie ai 571.000 spettatori per il film “Io, Robot” (share 2,3%); al secondo posto un altro canale Mediaset: Iris è stato seguito in prima serata da 548.000 spettatori (2,3%) trasmettendo il film “Delitto perfetto”.

Bianca Berlinguer nella giornata di ieri  fa spazio alla diretta del Tg3 sulle ultime vicende politiche. Poco male, il suo format nella versione pomeridiana viaggia tra l’8 e il 9% di share in un orario improbabile sul quale in pochi avrebbero scommesso…

mia ceran (6)
Mia Ceran

 

 

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