Culture

L'arte che siamo (anche) noi: scene da una collezione

 

Torino (askanews) - C'è vita sul pianeta Terra. Lo testimonia, in qualche modo per assurdo, l'autoritratto scultoreo di Pawel Althamer, oggetto artistico venuto dal futuro, ma ormai più di vent'anni fa, e quindi forse già diventato un passato, e dunque testimonianza di una vita. Possiamo partire da qui, ma si tratta ovviamente di una scelta arbitraria, per raccontare la mostra "Curated by (?)" che prosegue fino al 16 ottobre alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, un'occasione per gettare uno sguardo su alcune opere della Collezione, in attesa delle celebrazioni, nel 2017, per i suoi 25 anni. Una storia, quella anticipata qui, che la leggenda vuole essere cominciata con l'acquisto della scultura cromatica "1000 Names" di Anish Kapoor datata 1983, e che poi ha preso una piega capace di abbracciare molte delle sfaccettature complesse del contemporaneo.Pertanto in mostra si trovano l'orso-pulcino di Paola Pivi, divertente e al tempo stesso disturbante, e l'uovo di Sarah Lucas che, come consuetudine, ragiona sul rapporto tra componenti maschili e femminili. Oppure un grande dipinto con farfalle di Damien Hirst, dal solito magniloquente titolo "Love is Great", e la forma di formaggio che non mangeremo mai di Katharina Fritsch. E se Vanessa Beecroft e Roberto Cuoghi se ne stanno fianco a fianco insolitamente quieti, il cuore della mostra, nella sua anima se volete più mainstream, pulsa intorno a una delle opere più famose di Maurizio Cattelan, quel "La rivoluzione siamo noi" che presenta una versione ridotta del nostro eroe, vestita alla Joseph Beuys, gentilmente dimenticata su un appendiabiti del Bauhaus, a testimoniare che forse il ruolo sociale dell'artista non è più quello di una volta. Ma, permetteteci di dirlo, se questa critica arriva con un lavoro che è diventato un'icona, forse significa che le acque del Diluvio (che un giorno certo ci sommergeranno) per ora non si sono ancora del tutto richiuse sopra la nostra testa."Curated By (?)" è poi, naturalmente, anche una sorta di autoritratto della stessa collezionista Patrizia Sandretto Re Baudengo, che attraverso le opere svela qualcosa di se stessa. Qualcosa che, a ben vedere, non conosceremo mai fino in fondo, ma che, come l'uomo venuto dal futuro-passato di Althamer, ci guarda e ci costringe a porci delle domande anche su di noi e sul nostro modo di sistemarci davanti all'arte (e alla vita).