Culture

La negazione come prospettiva potenziale: Paolini e il Bello

 

Milano (askanews) - "E' la Bellezza che ci guarda, non siamo noi a riconoscerla e a poterla osservare". Scrive così Giulio Paolini, forse il più importante artista italiano vivente, nel testo che accompagna la sua ultima mostra, allestita in Fondazione Carriero a Milano e giustamente intitolata "del Bello ideale". Un progetto, che è anche un processo narrativo, che ruota intorno alla dimensione di assenza o negazione, all'idea paoliniana che "ideale è il non visto". E allora abbiamo chiesto all'artista che cosa vediamo non vedendo."Direi - ha spiegato Paolini ad askanews - che in un certo senso tutto è 'non'. E' un paradosso ed è un'affermazione un po' audace, però quello che invece è sotto gli occhi, o a portata di mano il più delle volte non è quello che noi desidereremmo toccar o vedere. Quindi diciamo che, pur essendo una privazione, il non visto, è però anche l'apertura di una prospettiva mentale, di una aspettativa, e quindi non è cosa da poco".La mostra, allestita sui tre piani della Fondazione Carriero con grazia scientifica, è curata da Francesco Stocchi, che ha immaginato di andare alle fonti del lavoro di Paolini, indagandolo attraverso tre grandi nuclei: il ritratto e l'autoritratto, o meglio la sua assenza; la superficie e il confronto con la mitologia classica."Siamo partiti - ci ha raccontato Stocchi - dalla dimensione potenziale, che caratterizza l'opera di Paolini, che è sempre in uno stato sospeso, nell'ipotesi o nell'attesa che l'opera si riveli. Da qui anche il bello ideale, che è un'idea, è qualcosa che non sarà mai raggiungibile, ma è il percorso che conta, come è il processo che conta nell'opera di Paolini, che io vedo come circolare, sempre inscritta in questo eterno presente".Il lavoro di Giulio Paolini, in questo eterno presente, si svela come geometria e, soprattutto come filosofia, una inesausta indagine sui confini della visione e della rappresentazione, alla ricerca di qualcosa che somiglia all'idea stessa della Cosa in sé, il Noumeno kantiano di cui però possiamo esperire soltanto il desiderio, mai la pienezza. E ogni opera in mostra ci racconta di ciò che, come un'entità oscura galattica o come un iperoggetto filosofico, sta al di là del territorio dell'opera d'arte, eppure è proprio l'opera d'arte che rende possibile questo altrove lontanissimo. Dove la Bellezza è quasi un pretesto per ribadire il valore della complessità, la distanza da qualsiasi operazione semplicistica."Paolini - ha aggiunto Francesco Stocchi - è proprio un antidoto a questo ed è un artista che non intende la preparazione del suo lavoro come indagine o ricerca, ma proprio come ispirazione, termine che è stato per molti anni messo da parte e del quale invece abbiamo bisogno. Dobbiamo essere ispirati ed ispirare, e questa mostra penso e spero che indichi una via".Una via che passa anche attraverso gli interventi della scenografa Margherita Palli che in due sale della Fondazione ha creato due installazioni che dialogano con le immagini e il pensiero di Giulio Paolini, offrendo quinte ulteriori alla prospettiva che la mostra vuole esibire."Io l'ho vissuto come un lavoro in teatro - ci ha spiegato Palli - c'è un tema, che in questo caso è Paolini e la negazione, c'è un regista che è Stocchi e io ho cercato di mettere in scena un'opera che non c'è".A esserci, invece, e in abbondanza, è un'idea forte di arte come possibilità, di potenza che torna alla propria pienezza rinunciando all'atto, ma che, al tempo stesso, nella rinuncia vive la sua più evidente affermazione.