Culture

Un'assenza presente e viva, Petrit Halilaj in Fondazione Merz

 

Torino (askanews) - Una performance, la storia di una cittadina, l'arte come motore di ricomposizione dell'infranto e, perché no, come forma di relazioni tra le persone. C'è molto nella mostra "Shkrepetima", che l'artista di origine kosovara Petrit Halilaj ha portato in Fondazione Merz a Torino, come vincitore della seconda edizione del Mario Merz Prize. L'esposizione rappresenta il punto finale di un percorso iniziato il 7 luglio 2018 con una performance tra sogno e teatro nella cittadina natale di Halilaj, Runik, proseguita poi con una mostra a Berna e infine approdata nel capoluogo piemontese, accolta negli spazi postindustriali della Fondazione presieduta da Beatrice Merz."Quando arriviamo a scegliere l'artista vincitore - ha spiegato ad askanews la figlia del grande artista - è perché con lui riteniamo che si possa costruire un progetto a tutto tondo. Abbiamo iniziato la costruzione di questo progetto per culminare qui nello spazio della Fondazione che cerchiamo di mantenere il più versatile possibile, nel senso che cerchiamo di consegnarlo agli artisti in modo che ne possano usufruire come meglio desiderano".Quello che più colpisce nel lavoro di Petrit Halilaj - artista 32enne tra i più interessanti della nuova scena internazionale - è la sua relazione con la realtà, il fatto che quello che vediamo oggi a Torino abbia prodotto degli effetti concreti sulla vita delle persone a Runik, dove Petrit ha ridato vita a un luogo simbolo del periodo unitario della Jugoslavia come la Casa della Cultura, che era stata poi una delle troppe vittime delle guerre post titine. "Petrit - ci ha spiegato Leonardo Bigazzi, curatore dell'intero progetto - è un artista che è un grado di intervenire direttamente sul reale e capire la distinzione tra quello che si può discutere nello spazio pubblico e quello che invece l'arte, il contesto e il sistema dell'arte contemporanea ti permettono di trasportare su un livello differente. Quindi è per questo che i due momenti, il momento della performance e il momento della mostra sono complementari, perché quelle che sono state le emozioni tradotte nella performance a Runik sono presenti qui a Torino, ma allo stesso tempo c' un livello di riflessione diverso, ed è un livello di riflessione che qui si apre, partendo dal contesto di Runik, a una riflessione più ampia su quello che è il potenziale dell'arte".La mostra torinese si articola su tre momenti e tre movimenti, dal grande letto nel quale il protagonista della performance sognava di riportare in vita la Casa della Cultura alle quinte del teatro allestito poi realmente, fino ad arrivare ai documenti ritrovati nel sottotetto dell'edificio sui quali Halilaj è intervenuto con il disegno. "È come se il sogno ha lasciato le proprie tracce anche quando abbiamo aperto gli occhi - ci ha raccontato Petrit - per me è stato proprio quello che sognavo di poter fare a Runik, in un posto dove da 30 anni non succedeva niente, e dove i sogni avevano cominciato davvero a dormire. Avevo tanta voglia che attraverso la memoria collettiva si potessero cominciare a risvegliare i sogni per un possibile presente insieme".Allievo di Alberto Garutti a Brera, Halilaj in qualche modo ha fatto sua la lezione del maestro e ne ha immaginato un ulteriore avanzamento, andando a far delle relazioni con la gente di Runik la vera materia della propria arte. "E devo dire - ha aggiunto l'artista - che è stata una grande emozione vivere questa storia, con tutti i cittadini e spero di essere riuscito a tradurre questa emozione anche qui, si attraverso l'installazione sia attraverso il video e il nuovo film".Il film, appunto, che documenta la performance e, simbolicamente, chiude il cerchio di tutto il lavoro. Che ruota intorno un tema classico di Petrit Halilaj, ossia quello della memoria, ma aggiunge, nella sua potenza installativa e morale, anche un nuovo protagonista: l'assenza. "È tutto un gioco tra presenza e assenza - ci ha confermato Bigazzi - che poi dal mio punto di vista si traduce poi in una presenza ancora più forte".La mostra in Fondazione Merz resta aperta al pubblico fino al 3 febbraio 2019.