Culture

Venezia, un labirinto di possibilità: tra minimal e quasi oggetti

 

Venezia (askanews) - Il pianoforte suona, da solo, un componimento di Franz Liszt, mentre intorno il resto della stanza prende vita sotto forma di palloncini, oppure di spine su una base luminosa. Naturalmente si tratta di un lavoro di Philippe Parreno, che nasce dall'unione di più elementi tipici della sua pratica artistica: una collezione di "Quasi object" che, accostati, diventano qualcosa in più. Siamo a Punta della Dogana a Venezia dove, fino al 20 novembre, è possibile avventurarsi nel "quasi labirinto" della mostra "Accrochage", curata da Caroline Bourgeois attingendo alle opere della collezione Pinault. Un percorso che, per scelta dichiarata, non ha una carattere tematico, ma vuole dare spazio a lavori finora non esposti, accostati, per l'appunto, in modo non molto dissimile da quanto fatto da Parreno. E la sensazione, mentre si gira, si sale e si ridiscende nelle stanze della mostra, è proprio che questo aggancio tra oggetti artistici diversi possa esprimere, alla fine, uno dei possibili sensi dell'esposizione. Sempre che di un senso ci sia bisogno.In realtà, pur a fronte di un possibile filo rosso in qualche modo definibile minimalista, molti dei lavori di "Accrochage" sono pezzi che vivono della loro stessa intensità: un esempio su tutti è il film di Pierre Huyghe "(Untitled) Human Mask", che ha per protagonista una scimmia con parrucca e maschera umana in un ristorante abbandonato, che assume a tutti gli effetti l'aspetto di una prigione dalla quale è impossibile fuggire.Potenti anche i sei enormi "Wall Drawing" di Sol LeWitt, ispirati alle forme geometriche e alla storia dell'arte moderna, che dalle sagome nere di Malevic è certamente passata più volte. E poi il tempo immobile di On Kawara, fissato ai margini di una data cruciale, o gli arazzi tra Kabul e Kassel della sempre enciclopedica Goshka Macuga, o ancora i materassi monocromi di Pier Paolo Calzolari e le splendide bande di colore orizzontale di Michel Parmentier.Quando, al culmine di un percorso che ha l'eleganza di non dare chiari punti di riferimento anche dal punto di vista della geolocalizzazione, si arriva proprio sulla punta dell'edificio e della penisola, è in un certo senso necessario che ad accogliere il visitatore ci sia una scultura di Charles Ray, che a pochi metri di distanza aveva collocato il suo "Ragazzo con la rana", tanto amato quanto contestato. Questa volta l'opera è un giovane uomo in acciaio inossidabile, perfetto connubio tra uno stile classico e una tecnica di realizzazione contemporanea.Potremmo fermarci qui, ma resta un dubbio. Da qualche parte, infatti, nella mostra di Punta della Dogana aleggia lo spirito di Tino Sehgal, che per contratto non vuole essere inserito in comunicati o didascalie... Forse, ma chi può dirlo, il suo respiro ci ha sfiorato, giusto a due passi da Sol LeWitt.