Politica

Ministro iracheno al-Jaafari: Italia da sempre al nostro fianco

 

Roma (askanews) - Il ministro degli Esteri Iracheno, Ibrahim al-Jaafari, ha fatto visita a Roma per un incontro col suo collega italiano, Paolo Gentiloni. Abbiamo incontrato il capo della diplomazia irachena al quale, per pirma cosa, abbiamo chiesto quali sono stati i principali temi dell'incontro con Gentiloni, e un suo giudizio sullo stato delle relazioni fra Roma e Baghdad."Abbiamo discusso di molti punti nel quadro della collaborazione tra Italia e Iraq. Abbiamo parlato di coordinamento e cooperazione fra i nostri due paesi. Siamo molto soddisfatti delle posizioni italiane a sostegno, anche logistico, del nostro paese. In questo momento stiamo conducendo una guerra contro i terroristi dell'Isis, e quella italiana è una posizione di appoggio a noi. L'Italia è tra i primi Paesi al mondo nel sostegno all'Iraq. Gli italiani ci sostengono con 1.400 tra addestratori e consiglieri e nello stesso momento contribuiscono e hanno contribuito a livello di attività dell'aviazione militare a favore dell'Iraq. Abbiamo approfitato dell'incontro (con Gentiloni) per presentare i ringraziamenti alla società italiana Trevi che ha avuto l'incarico per i lavori per la ristrutturazione della diga di Mossul al fine di evitarne il crollo, e di questo siamo particolarmente grati.L'Iraq e l'Italia sono accumunati da una storia antica. L'Iraq ha una storia di civiltà che dura da 6.000 anni. Lo stesso vale per l'Italia. Entrambi i paesi appartengono a una civiltà millenaria: sono due Paesi pilastro della civiltà. Certamente la storia non è sufficiente perché i due paesi si avvicinino sempre di più. Tra Italia è Iraq non c'è mai stata guerra o avversione. Ci sono molte opportunità di investimenti dove l'Italia può fare la sua parte. Dico questo perchè da sempre abbiamo avuto con l'Italia relazioni buone. La posizione dell'Italia verso l'Iraq, è stato sempre ottimo. E l'Iraq contraccambia gli stessi sentimenti verso l'Italia. Il nostro Paese è rientrato nella società civile, ha ottenuto 173 voti alle Nazioni Unite per far parte del Consiglio dei Diritti Umani. Quello che auspico oggi è che il prossimo futuri riservi profondi e radicati legami tra l'Iraq e l'Italia".Una volta completata la liberazionde della città di Mossul, i miliziani dell'Isis potrebbeo trovare una via di fuga verso la Siria. Non siete preoccupati per questo? "Effettivamente era una nostra preoccupazione l'eventuale fuga di combattenti dell'Isis verso la Siria ma devo dire che questo rischio è venuto meno in quanto c'erano tre strade che conducevano dalla Siria a Mosul e tutte queste tre strade sono state prese e sono sotto il nostro controllo attualmente. L'Isis è circondata e non ha nessun collegamento con nessun'altra regione irachena. Persino i ponti che collegano le due sponde del Tigri che attraversa la città di Mosul sono stati tagliati. Oggettivamente, in questo momento i combattenti Isis sono circondati e non hanno nessuna via di fuga".Ma qual è lo stato della lotta all'Isis?"Il pericolo dell'Isis è un pericolo indivisibile. La sua minaccia in un Paese è una minaccia anche negli altri Paesi, siano essi vicini geograficamente che lontani. Compresi i vostri Paesi: l'Europa e l'America, l'Autsralia, il Canada. Tutti i Paesi del mondo sono minacciati se l'Isis è forte. L'Isis ha dei soldati che provengono da oltre 100 Paesi. Hanno più di 100 cittadinanze. Di conseguenza, questi, (Foreign Fighters, ndr) costituiscono un pericolo. Se tornano nei loro Paesi compieranno atti criminali. Indebolirli, senza intervenire negli affari interni degli altri Paesi, è fondamentale. Ma ci interesse estramamente che vengono distrutti. Noi ci consideriamo impegnati in una battaglia, non solo a difesa dell'Iraq. Pensiamo che stiamo difendendo tutti i Paesi del mondo che sono tutti minacciati dal pericolo Isis". Donald Trump sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Quali potranno essere i prossimi sviluppi della politia estera di washington in particolare per quanto riguarda le relazioni con l'Iraq e nello scenario mediorientale?"Premetto che le elezioni sono questioni interne di ogni Paese e soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, un paese di grandi dimensioni, la sua politica estera avrà dei riflessi in tutto il mondo, in particolare sulla nostra regione. Ma in un Paese con istituzioni e parlamento, gli obbiettivi strategici sono di solito lontanti dagli umori dei presidenti. Quando viene cambiato un presidente o un partito al potere, di solito, la politica generale non viene sconvolta nella sua fondamenta. Non è giusto giudicare qualsiasi presidente sulla base dei discorsi in campoagna elettorale. Noi giudichiamo i discorsi quando si è al potere. Ed è proprio per questo che Trump, al suo primo discorso dopo la vittoria ha cambiato tono: Parlando da presidente era molto chiaro dal suo discorso che il tono era molto diverso dal tono assunto da candidato alla presidenza. Tuttavia, per quanto ci riguarda, noi, fatta salva la nostra sovranità, siamo legati con gli Stati Uniti con un'accordo strategico. Questo accordo è stato firmato quando era presidente il repubblicano George W. Bush che l'ha rispettato. E quando è arrivato Barack Obama che invece è del partito Democratico, anche lui si è attenuto (all'accordo, ndr). Oggi, torna un'altra volta una amministrazione repubblicana, che non può che attenersi all'accordo. Pertanto i nostri legami con gli Stati Uniti sono strategici".