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Il coach di Serena Williams: "Prima la mente, poi la racchetta"

 

Roma, (askanews) - Lo chiamano il "mentalista" perché è la mente, non la racchetta, lo strumento principale del tennis. Senza sacrificio, impegno e concentrazione anche il miglior tennista non sarebbe un campione. Lui è Patrick Mouratoglou, dal 2012 coach di Serena Williams, che con lui ha vinto due Wimbledon, 2 Roland Garros, 3 Us Open, un Australian Open e un oro olimpico. Ha scritto "Impara a vincere" (edito da Piemme con prefazione di Serena Williams), un libro autobiografico per allenarsi da professionista, giocare come un campione e sconfiggere ogni avversario. Lo abbiamo incontrato a Roma, agli Internazionali Bnl d'Italia, dove si trova insieme a Serena Williams."Il libro parla della mia vita, l'editore mi ha proposto di scrivere una sorta di autobiografia, sono rimasto sorpreso perché non pensavo di essere così vecchio per scrivere una autobiografia. L'editore ha trovato la mia vita interessante perchè quando ero giovane ho avuto molte difficoltà, ero timido, ero sempre malato, e ho dovuto superare tutto questo per avere la vita che sognavo"."Il mio libro 'Impara a vincere' - aggiunge il coach - è interessante per tutti, non solo per chi ama il tennis, perché parla della vita e di come potenziare le proprie capacità e ottenere ciò che si vuole nella vita e realizzare i propri sogni".L'allenatore punta su un messaggio in particolare: "Il mio messaggio è rivolto a tutti i giocatori, ovvero sapere che occorre sognare, che non bisogna avere paura di dirsi che si può sognare e che tutto è possibile. Sono un esempio del fatto che ho ottenuto molto di più di ciò che avrei sperato di avere nella vita. Tutto è possibile, è vero nel tennis come altrove".E c'è anche un aneddoto che Patrick racconta: "Nel libro racconto tutte le storie con i giocatori che ho allenato, ho molti aneddoti. Ne ho uno con Serena molto interessante. Quando ho iniziato ad allenarla, non il primo giorno ma nei primi giorni, l'ho incontrata, gli ho detto buongiorno, lei non mi ha risposto, ha cominciato a giocare e in campo non mi rispondeva mai. E quando ci siamo seduti, alla fine dell'allenamento, gli ho dato un piccolo scappellotto sul berretto, e le ho detto così: se vuoi lavorare con me ci sono due regole: la prima è che quando ti dico buongiorno, mi guardi e mi rispondi, e la regola numero due è che quando ti parlo mentre giochi, mi guardi e mi rispondi. Se non farai così, non va bene. È rimasta scioccata perchè evidentemente nessuno prima aveva fatto così. Questa è stata la base della nostra relazione che è vera, basata sul rispetto e la collaborazione".