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Coronavirus
"Covid, formazione negli ospedali? Non mandate gli studenti in corsia"
(fonte Lapresse)

Lettera al direttore di Affaritaliani.it, Angelo Maria Perrino, di Giuseppe Caroli, medico in pensione, già Direttore Generale di Asl e Aziende Ospedaliere e di Luciano Cifaldi, Segretario generale Cisl Medici Lazio


Gentile Direttore,
nei giorni scorsi c’è chi ha proposto di fare ricorso negli ospedali agli "specialisti in anestesia già dal terzo anno"  per colmare il vuoto di personale esistente.

L’ossimoro è già subito evidente nella contraddizione delle sue parole. O sono specialisti in anestesia e rianimazione avendo acquisito il relativo diploma oppure sono studenti, seppur laureati in medicina e chirurgia, che non hanno ancora completato il percorso di specializzazione. E se sono studenti al terzo anno non possono e non devono essere inviati a fare gli anestesisti negli ospedali attribuendo loro responsabilità ed oneri che ancora non competono.

Non lo consente l'attuale normativa, non lo consente il buon senso.

Gli statuti delle scuole di specializzazione prevedono che il corso abbia la durata di 5 anni.

Ciascun anno di corso prevede didattica formale e seminariale, ed attività di tirocinio guidate, da effettuare frequentando le strutture didattiche ed assistenziali della scuola ed eventualmente quelle ospedaliere convenzionate, sino a raggiungere l’orario annuo complessivo previsto per il personale medico a tempo pieno operante nel Servizio Sanitario Nazionale".

Se gli studenti del terzo anno dovessero essere mandati in corsia come operatori, verrebbero meno le centinaia di ore previste nell’indirizzo di terapia intensiva durante il terzo ed i successivi anni di corso.

Si obietterà che questi studenti potranno fare formazione sul campo cioè negli ospedali, peraltro solo quelli convenzionati. Ma come? Ricordiamo la decisa opposizione che tramite il MIUR, Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, è stata fatta ad autorevoli proposte sindacali che andavano proprio in questa direzione e ciò a motivo, riteniamo, del mantenimento della esclusività della formazione nell’alveo universitario. Posizioni contrastanti ma tutte legittime per carità. Inoltre va ricordato che già nel 2018 anche una società scientifica di riferimento degli anestesisti-rianimatori si esprimeva negativamente in relazione ad una ipotesi proposta nell'emendamento alla legge di bilancio di iniziativa governativa di riduzione da 5 a 3 anni della durata della Scuola di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore. "La riduzione del periodo formativo, come ipotizzata da tale emendamento, permetterebbe forse solo un esercizio peraltro parziale della professione di anestesista, precludendo importanti sbocchi lavorativi   che implicano piene competenze in tutti gli ambiti della nostra disciplina.

Cambiare un ordinamento didattico richiede tempo nella predisposizione e nell'approvazione e non può essere improvvisato sulla scia dell'urgenza del momento".

Il problema esiste e ce ne siamo accorti nella drammaticità di questa situazione. Non si può colmare il vuoto di personale specialista in una disciplina così importante ed in un’area così critica mandando allo sbaraglio studenti del terzo anno privi magari di una specifica copertura assicurativa e privi anche di uno scudo penale e civilistico a fronte di probabili denunce di malpractice.

Magari sarebbe stato meglio che si fosse evitato il famoso imbuto formativo a causa del quale da troppi anni il numero dei laureati in medicina era, ed è, di gran lunga inferiore al numero di medici che avrebbero potuto accedere alla specializzazione con borsa di studio.

Non si poteva derogare aumentando le borse di studio perché, si diceva, non ce lo consentiva l’Europa. Quella stessa Europa della quale chi ha avanzato la proposta degli studenti del terzo anno di specialità è stato, ed è, autorevolissimo rappresentante. Quella stessa Europa che oggi si trova a fronteggiare la pandemia virale con visioni e ipotesi di soluzione diverse tra ogni singolo Paese essendo ad oggi priva, anche in questo campo, di una politica unitaria ed univoca.

La nostra riflessione critica è tale a prescindere dalla appartenenza politica di chi ha avanzato una ipotesi non realizzabile ma almeno si è distinto da tutto quello che in questo periodo è sotto i nostri occhi e dentro le nostre orecchie. Basti pensare a quanti hanno espresso giudizi trancianti ad esempio sulle postazioni di terapia intensiva in fiera a Milano, disquisendo sulla base di cosa proprio non si capisce. Da igienisti? Da rianimatori? Da ingegneri? Da giurati nelle gare di ballo? Se partiamo dalla consapevolezza della impossibilità di realizzare il percorso ipotizzato, speriamo almeno che ne possa derivare l'impegno dell’autorevole deputato al Parlamento Europeo a modificare quanto di frenante e contraddittorio è riconducibile al famoso detto “non si può fare perché ce lo chiede l’Europa”.

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