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Costume
Fabio Boccanera: “Nuova linfa nel cinema. Al capitano Jack Sparrow devo tanto”
Johnny Depp e Penelope Cruz in "Pirati dei Caraibi - Oltre il confine del mare". La Disney sta cercando un sostituto di Depp per il ruolo di Jack Sparrow

Classe 64, Fabio Boccanera attore e doppiatore di Johnny Depp in tutti i capitoli di una delle saghe più seguite nella storia del cinema dedicata al fantastico mondo della pirateria, ma anche in “Black Mass”, “la Fabbrica di Cioccolato” (con uno strepitoso Willy Wonka), “Alice in Wonderland”, “Nemico pubblico”, “The Tourist”, “Assassinio sull’Orient Express”, “Chocolat” e molti altri, ci racconta il dietro le quinte di uno dei settori meno in vista ma di indubbia rilevanza e fascino della Settima Arte. Una tecnica complessa quella di prestare la voce ai mostri sacri di Hollywood che – a sua volta – si fonde con un innato talento per dar vita ad un binomio (attore/voce) imprescindibile.    

Ma Boccanera non è soltanto il trasformista Depp ne il Capitano Jack Sparrow, il Cappellaio Matto o lo spietato gangster James “Whitey” Bulger, ma anche Colin Farrell in decine di film, Ben Affleck, Clive Owen (Inside Man), il pluripremiato Joaquin Phoenix e il perfido Caledon Hockley (Billy Zane) ricco compagno di Rose e antagonista di Jack Dawson in “Titanic” di James Cameron. La corposa lista dei lavori a cui Fabio ha partecipato in 45 anni di onorata carriera, sia nei lungometraggi che in film di animazione, serie televisive, cartoon e video giochi, evidenzia un percorso professionale di tutto rispetto e ad altissimi livelli. Ha vinto, grazie ad alcune sue memorabili performance, il premio “Voce maschile dell’anno” al Gran Galà del Doppiaggio Romics DD, il “Premio Ferruccio Amendola” nell’edizione 2008 e – tre anni dopo – il Premio della Critica e un riconoscimento alla “Miglior interpretazione maschile” nell’ottava edizione del Leggio d’oro, tenutasi nei cieli di Cefalu’. Noto anche per il doppiaggio di Josh Holloway nella famosa serie “Lost” e di Pedro Pascal ne “Il Trono di Spade”, Boccanera ha inoltre all’attivo due miniserie Tv nel ruolo di attore: “L’uomo del tesoro di Priamo” diretto da Paolo Gazzara e “Un paio di scarpe per tanti chilometri” di Alfredo Giannetti,            

D. Fabio Boccanera buongiorno. Così come lei anche molti suoi colleghi vengono da una famiglia di doppiatori. Una sorta di “eredità” che si tramanda di padre in figlio, di cugina in cugino di fratello in sorella. Come ha inizio il suo percorso professionale, anche attoriale oltre che nelle sale di doppiaggio?  

R. Io ho iniziato la mia carriera di doppiatore tantissimi anni fa. All’epoca era diverso, nel senso che c’erano molte famiglie di doppiatori, veri e propri “nuclei”. I Guadagno, i Rossi, i Manfredi, gli Acerbo. Quando ho iniziato io, molti anni orsono, questo lavoro era straordinario. Lo si viveva un po’ diversamente rispetto a oggi. Si creavano anche belle amicizie. Era una grande famiglia, o perlomeno tale ci sentivamo. C’era la gavetta attorno a dei professionisti immensi, dai Direttori agli assistenti dagli operatori del settore ai colleghi. Si iniziava dalle piccole particine, battutine, brusii (insieme di tante persone che parlano) e pian piano, grazie a gente di spessore, ho cominciato a “rubare” con gli occhi. Da considerare che il mio primo protagonista era un film d’animazione del 1976 “Pussy la balena buona”. Un bambino lui (e un bambino io) che aveva un storia dolcissima con questo grande cetaceo. Da lì è partita la mia carriera, aumentando di anno in anno fino alla conferma e il consolidamento dei tempi attuali. La mia specialità erano i cattivi, mi riuscivano molto bene. In quei periodi ho anche fatto parte del cast di due miniserie Tv. Ero piccolissimo, 9/10 anni. Belle esperienze anche quelle, sempre accompagnato dai mie genitori. Un ricordo di mio padre che rimane indelebile. Nel mondo del doppiaggio sono entrato grazie ai miei cugini, anch’essi importanti doppiatori. Massimo Rossi è (ne dico due per tutti) Sean Penn e Charlie Shenn, Emanuela Rossi la voce ufficiale di Michelle Pfeiffer e Emma Thompson e Riccardo (Rossi) è Adam Sandler, alcuni di Depp, Affleck e Christian Bale. Prima di me fu il turno di mia sorella Laura (Jodie Foster), che mi ha fatto da “apripista”.

D. Ricordiamolo. Lei è la voce italiana (tra gli altri) di mostri sacri quali Johnny Depp, Colin Farrell, Clive Owen, Ben Affleck e Joaquin Phoenix. Siamo abituali ormai a sentirli parlare tramite il suo timbro e il suo stile. C’è qualcosa di loro che, con il tempo, è entrato a far parte anche di lei? Una movenza, un’espressione, uno atteggiamento tipico della mimica facciale…

R. Oggi presto la voce a molti attori. Come ha ricordato lei Johnny Depp, Colin Farrell, Cline Owen, Joaquin Phoenix. Indubbiamente ognuno di loro mi ha fatto crescere professionalmente, formato, perché si impara anche e soprattutto osservando loro. Sono estremamente convinto che i loro sguardi, i loro occhi e la loro mimica mi hanno aiutato molto. Gli occhi dicono tutto, non mentono e non posso nascondere nemmeno che in ognuno ci rivedo anche un po’ di me. Di Depp - ad esempio - la sua follia, la stravaganza, di Phoenix il suo carattere, chiuso, introverso, riservato.   

D. Quindi mi perdoni la battuta. Ma quando siete a pranzo tutti insieme (tra parenti), magari per le feste natalizie, un eventuale ospite ignaro dei vostri ruoli si trova a tavola con Depp, la Pfeiffer, Sandler, Sean Penn e Jodie Foster. Una situazione un po’ surreale non trova?    

R. A domanda ironica rispondo altrettanto ironicamente. Sì, è capitato. Noi non ce ne rendiamo conto, ma ci facciamo caso quando ci ritroviamo convivialmente e c’è qualche estraneo. La battuta “siamo al cinema qui?” ci scappa sempre. Oppure quando siamo al ristorante il curioso e l’appassionato di turno lo si trova. Inevitabile. E lo sguardo di quest’ultimo è talvolta eloquente. Tra lo strano e l’allibito.   

D. Ha mai avuto l’occasione di incontrare o sentire (via telefono o per iscritto) uno di loro? E se ne capitasse l’occasione chi vorrebbe conoscere?  

R. No, ancora non li ho potuti conoscere. Spero venga presto il momento. L’unico che ho incontrato è stato Joaquin Phoenix in occasione di una prima a Roma. Sono rimasto impressionato dalla sua serietà, umiltà, discrezione. Come detto mi ci rispecchio molto sotto quel punto di vista. Invece Andrew Shue di “Melrose Place”, andato in onda nei primi anni Novanta, mi mandò una lettera di ringraziamento per la voce che gli prestavo in Italia.

D. Spesso la voce dei personaggi può influire tantissimo (in Italia) sulla riuscita dei colossal d’oltreoceano. Questo lo sanno anche gli stessi attori che interpretano l’opera. Quanto dunque è forte il legame “invisibile” che si crea tra il personaggio e la sua voce?

R. Molto. Loro si informano su chi li doppia nel nostro ma anche in altri Paesi. Come lo chiama lei c’è una sorta di legame invisibile tra noi e loro e se continuano a fartelo fare c’è una specie di silenzioso assenso che si tramuta in consenso anche da parte dei protagonisti.   

D. Gran Galà del doppiaggio e premio “Ferruccio Amendola”. Poi arriva Jack Sparrow, il mitico Capitano dei Caraibi, un successo planetario. Per quella interpretazione vocale lei ha vinto il Leggio d’oro nel 2011, gli Oscar italiani del doppiaggio. Quanto Fabio è legato a Depp e quanto sempre Fabio deve a Depp nella sua carriera?

R. Quello a cui tengo tantissimo è il premio “Ferruccio Amendola”. Per tanti motivi. Ci sono cresciuto con Ferruccio così come con Pino Locchi, Cesare Barbetti. Giganti del doppiaggio. Emilio Cigoli era il grande John Wayne con il quale ho avuto il piacere di condividere il leggio e con la direttrice Fede Arnaud – immensa –  con la quale ho avuto l’onore di collaborare nello straordinario e immortale “Attimo fuggente”. La Arnaud, tanto per intenderci, ha diretto pietre miliari quali “1997: Fuga da New York”, “E.T. l’extra-terreste” di Spielberg, “Rusty il selvaggio”, “Good morning, Vietnam” e “Harry, ti presento Sally”. L’altro premio invece che mi inorgoglisce molto è il Leggio d’oro vinto  per il “Capitano Jack Sparrow”, eroe degli oceani interpretato da Depp in una saga fortunatissima. Fu molto bella quella giornata a Cefalu’. Indimenticabile! Devo molto a Johnny Depp, e anche se la mia carriera era già abbastanza riconosciuta anche prima di lui, con l’indimenticabile esperienza dei “Pirati” e avvenuto il consolidamento. Gli debbo tanto, non v’è dubbio alcuno. Farlo in Jack Sparrow non è stato per niente facile, perché dovevo dare la voce ad un personaggio sopra le righe, particolare, sarcastico, evitando assolutamente di cadere nel ridicolo, Un’operazione anche mentale.

D. Black Mass, altro successo straordinario. Il gelido gangster interpretato da Deep in maniera ineccepibile. Una storia vera. Quanto è complicato passare dall’esuberante e chiacchierone Sparrow all’imperturbabile e oscuro James “Whitey” Bulger? Due lavori agli antipodi. Come ci si prepara a queste prove così complesse? C’è uno studio dietro oppure si fa affidamento principalmente all’improvvisazione?  

R. Il passaggio tra, faccio un esempio, Black Mass, “Pirati” o “Alice” è molto diverso, naturalmente. Però non c’è una cosa in particolare che debbo fare, mi affido all’istinto e cerco di entrare nell’attore che sta recitando in quel momento. Tecnica sì, senza dubbio, ma prevale l’istinto e – in alcune scene – la situazione del momento o – come la chiama lei – l’improvvisazione. E’ sempre bene mantenersi sui due binari paralleli ma uniti in maniera imprescindibile, la tecnica e l’istinto.     

D. A oggi, quale è il film di Depp (e non solo) che avrebbe tanto voluto doppiare ma che per varie vicissitudini non è stato possibile e a quale altro attore di Hollywood le avrebbe fatto piacere donare la sua voce?

R. Non dipende da noi. I direttori scelgono il doppiatore. In linea di massima non c’è uno che avrei voluto fare. Sono sincero. Avrei tanto desiderato lavorare per James Dean. Lo sentivo nelle mie corde, ma per ovvi problemi anagrafici tra noi è stato impossibile. Di tutto il resto non ho né rimpianti né pentimenti. Tutto quel che ho fatto è stato bello. Nulla cambierei.   

D. Andiamo al Covid-19. Come ha vissuto e trascorso il lungo lockdown e l’anno e mezzo di pandemia? E…quanto il fermo globale (industria cinematografica statunitense in primis) ha pesato anche nel vostro comparto?

R. Situazione drammatica che tutt’ora stiamo vivendo perché non è finita. All’inizio l’ho vissuta male, tante domande, tanti perché, fino a poco tempo fa ci abbracciavamo, ci scambiavamo gesti d’affetto, nei bar al ristorante e ora sembra di vivere in un altro mondo. Ho avuto molta paura anche per la mia famiglia. Il cambiamento è stato psicologicamente devastante per molti. Sotto il piano lavorativo è stato un grandissimo problema. Ci siamo dovuti fermare per forza. Gli ambienti chiusi delle sale doppiaggio non hanno aiutato. Ci siamo dovuti reinventare anche noi, con sanificazioni, precauzioni di legge, distanze etc. etc. etc. Tutto questo naturalmente ha pesato tantissimo sul comparto che, come per altri, ha subito un calo di lavoro impressionante. Con le sale cinematografiche il disastro non è tardato ad arrivare, per noi come per l’intera categoria. La produzioni hollywoodiane si sono fermate ma ora, con la lenta ripartenza, cerchiamo di vedere con ottimismo al futuro. Tuttavia ci tengo a precisare che le series (che sono il futuro) di Sky e Netflix non si sono mai arrestate. Quindi, nel caso nostro, almeno sotto quel punto di vista, c’è stato un bilanciamento. Vero che il grande schermo ha subito una battuta d’arresto per la sale chiuse, ma anche vero che le piattaforme hanno continuato a produrre o avevano produzioni in essere girate prima dell’inizio della pandemia.         

D. Rapporti con i colleghi? Vi sentite spesso? Solo professionali? Con quali di essi si è instaurata una solida amicizia (anche per via dei lavori insieme) e con quale si è sentito onorato di lavorare in progetti comuni? Onorato da entrambe la parti intendiamo. 

R. Rispetto a prima ora è cambiato tutto. Dal leggio alla solitudine. Prima si stava insieme nel cosiddetto “botta e riposta”, ultimamente e da un po’ di anni ci hanno separati. Le colonne sono doppiate in maniera isolata. Ognuno deve fare la sua parte ma divisi. Questo ci ha tolto indubbiamente un po’ di “verità”, di umanità. Ora siamo costretti a sentire la parte già doppiata dal collega. Tutta un’altra storia di quando eravamo in sala. Diciamo che a farne le spese è stata la spontaneità. Tuttavia sono follemente innamorato di questo lavoro e i rapporti sono buoni con tutti, pur con gli inevitabili modi d’essere e i caratteri che si differenziano. Se devo fare nomi le dico che ho uno speciale riguardo e affetto nei confronti delle amiche Chiara Colizzi, Francesca Fiorentini e Barbara De Bortoli (ne cito solamente alcune), con le quali mi sono trovato spesso a lavorare nei medesimi progetti. 

D. Ci sono all’orizzonte progetti interessanti per l’anno in corso? E’ in arrivo qualche lungometraggio da tutto esaurito? Ci vuole svelare in anteprima qualcosa che ancora i fans o i lettori non sanno?

R. Guardi, mi sono divertito molto a doppiare Tom Hardy in Al Capone, uscito pochi mesi fa. L’ultimo in ordine cronologico è stato “Minamata” sempre con Johnny Depp. Una storia vera. Bellissimo. Credo che uscirà al cinema a breve. Un Depp stupendo che interpreta un fotografo famoso che viene chiamato a verificare una situazione accaduta in Giappone. E poi c’è una serie televisiva che sto attualmente facendo con Clive Owen. Comunque, in generale, la ripresa post Covid è un po’ lenta.   

D. Siamo in conclusione. Fabio, il mondo cambia e con una rapidità spiazzante. Quanto è cambiato il modo di fare doppiaggio negli ultimi venti anni? Ci sono stati dei mutamenti tra “ieri” e oggi? Eh se sì, in bene o in male?

R. Sì, purtroppo è cambiato, come già le accennavo prima. E’ tutta una corsa, le cose devono essere fatte di fretta. Ma è il mondo che va così. Un film ora deve essere finito in 10 giorni al massimo. Prima ci voleva un mese. Ora si corre. E’ cambiato questo settore come tutti gli altri d’altronde.  

D. Vuole ringraziare qualcuno in particolare che è stato - ed è tutt’ora - importante per lei? Qualche suo mentore, un componente della famiglia, o semplicemente se stesso?

R. Per la mia carriera debbo ringraziare tante persone. I direttori di doppiaggio (prima le citavo Fede Arnaud) che hanno creduto in me e tutti coloro i quali mi hanno aiutato. Soprattutto la mia famiglia che mi ha introdotto, i miei cugini (come già nominati sopra) e mia sorella Laura. Oggi mi sento di ringraziare mia moglie Valentina e i miei figli. Lei mi ha fatto crescere anche come uomo, mi ha aiutato a migliorare quello che ero sia professionalmente ma anche e soprattutto come uomo. Un forte stimolo. Una compagna di vita fantastica.

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