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Costume
Angela Bellomo, couturière di razza che veste le vip
foto facebook Angela Bellomo

Di Monica Camozzi

Se il potere al femminile avesse un codice di identità, sceglierebbe il raso di seta color avorio con incursioni di nero.  Una via di mezzo fra severità vittoriana e romanticismo di primo Novecento. Insomma, infilerebbe la porta di Angela Bellomo, couturière di razza che nella sua Milano lavora alacremente per le donne. Donne di caratura: come una radiosa Irene Pivetti, apparsa in completo castigato e sensuale color perla alla prima della Scala lo scorso anno; o la direttrice d’orchestra più fotografata del 2018, Beatrice Venezi.

A dimostrare che quando un sarto sa scardinare il banale, lo rivela con la cosa apparentemente più semplice che esista, una camicetta: fu Michelle Hunziker a darne effettiva prova in una trasmissione tv lo scorso anno, con indosso il cavallo di battaglia dell’atelier ovvero la camicia-blusa color burro, rilucente di setoso raso perfettamente tagliato sul corpo. Un’anatomia gentile eppure netta, potente, che affiora sotto i sapienti colpi di taglio capaci di rendere  sinuoso uno dei capi di abbigliamento più neutri della storia. I lunghi abiti di Angela, morigerati eppure traboccanti di femminilità come in un fotogramma del Gattopardo, parlano un verbo eterno: quello del taglio costruito sul corpo. Generalmente in codice cromatico doppio: o nero o burro, con qualche divagazione sul rosso acceso, come quello indossato da una splendida Elenoire Casalegno, che non lasciava un centimetro di pelle scoperto  ma seduceva più di un nudo. “Ora la trasformo” è la frase che esce con naturalezza a questa donna ogni volta che osserva un’altra donna ritagliando, insieme allo stoffa, la sua personalità. Insignita questo maggio a  Palazzo Marino dell’Award al merito per la moda è comparsa con una delle sue ieratiche  gonne a canne, ai piedi le immancabili ballerine di raso, chiuse da un nastro alla caviglia come in un quadro di Degas. La storia di Bellomo è da manuale, inizia in un negozio di parrucchiere del quadrilatero, dove le clienti già la notavano per una raffinatezza genetica e quell’incedere da ballerina, con i lunghi capelli neri raccolti in una crocchia sul capo.

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Angela aveva già una figlia, concepita a 17 anni, ma il sogno della moda, anzi della bellezza che la genera, era materia viva che la rintuzzava tutti i giorni. Un giorno, arrivata a Parigi per le sfilate, comprese la portata del suo talento quando nella boutique di Chanel la direttrice  la osservò entrare e le chiese di chi fosse l’abito che indossava. Finalmente, nel 2013 il grande passo, l’apertura dell’atelier di Porta Vittoria a Milano. Da quel momento nelle stanze si avvicendano donne di temperamento, personaggi dell’arte, della finanza, della politica, rese coscienti della potenza di un vestito solo dopo aver sperimentato la costruzione ad personam e il codice estetico di Angela, capace di imbrigliare la sensualità in uno sparato da camiceria su raso, in uno jabot, in uno scamiciato di pelle bianca, in una pannello da Medioevo giapponese. Ora l’atlier di Angela si è trasferito al Salotto di Milano di corso Venezia 7, nuovo polo del lusso che promuove le eccellenze italiane nel mondo e che dà una degna accoglienza alla sua couture fuori dall’ordinario. L’ultimo pezzo da antologia: il parka di seta color champagne, da portare magari sui fuseaux in tessuto Chanel. Senza dimenticare, come dice lei, che “l’eleganza alla fine è comportamento”.  

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