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Molestie, Castellitto contro le colleghe: "Non bastano le spillette ai David"

«Erano i giorni caldi del dibattito sulle molestie. Uno mi avvicina per strada con una risatina: “Eh, voi del cinema...”. Gli rispondo: “Voi chi? Come si permette? Guardi che io non faccio lo stesso mestiere di quei signori lì, sia nel lavoro che nella vita”. Io rivendico il diritto a essere considerato un uomo perbene, uno che si sforza di essere perbene, perché tutti noi siamo esposti continuamente a tante possibilità di sbagliare, ma poi facciamo delle scelte. I predatori sono persone pericolose non solo per quello che fanno alle donne, ma anche per concatenazione perché sono i testimonial di una visione del mondo che sta per passare: ma sì, ma certo, ma è ovvio, è sempre successo, fanno tutti così. Bisogna rispondere: no, no, no. Non siamo tutti così, io non sono così, tanti non sono così. I molestatori sono semplicemente merde umane, e va detto: tu sei una merda umana e io non lo sono. Bisogna schierarsi, dire da che parte si sta, e da che parte bisogna stare? Semplice: dalla parte delle vittime. Si sta dalla parte delle donne. Come direbbe Totò: a prescindere. Io sto dalla parte di Asia Argento».

Se Sergio Castellitto fosse un hashtag, sarebbe #NotMe. La voce di un uomo, di un regista, di un attore – dal 19 aprile al cinema con Il Tuttofare, e la sera dell’8 maggio, vigilia del quarantennale del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, su Rai1 protagonista della docufiction Il Professore – che non vuole rubare i riflettori al #MeToo, e anzi sostiene le donne del movimento. Ma che proprio per sostenerle vuole ribadire, di fronte a chi ha interesse a fare di ogni erba un fascio per diluire la gravità delle accuse, che la predatorietà non è un corollario naturale dell’essere maschio: è una scelta criminale. Che tanti uomini non molestano né molesterebbero, e chi molesta non merita alibi. Che esiste una mascolinità sana. Che un uomo può benissimo scegliere di essere, ogni giorno, un gentiluomo. Lo racconta a GQ – che sta per Gentlemen’s Quarterly – nell’intervista di copertina del numero di aprile. Tema, appunto, essere gentiluomini oggi.Con una constatazione particolarmente amara: da noi le donne che hanno denunciato non hanno ricevuto molta solidarietà dalle altre donne. «Diciamo che in Italia, unico Paese, gran parte del gotha delle artiste è stato molto ambiguo», dice Castellitto a GQ, «e questo la dice lunga sul fatto che da noi quello della gestione maschile del potere è un tema molto più grave che altrove. L’ambiente fa quadrato. La reazione dei maschi non mi stupisce: mi ha stupito nelle artiste questo essere d’accordo sulle parole d’ordine da usare per circoscrivere lo scandalo».Per esempio? «Ci si è concentrati sul comportamento delle accusatrici e si è dimenticato chi era il ladro della marmellata. Banalità come: “Si è sempre libere di andarsene”. Oppure: “Ti rispetterei se avessi accettato di fare la cameriera invece di subire per convenienza”. Come dire: è giusto che tu sia costretta a scegliere fra i tuoi sogni e il rispetto per te stessa, e siccome hai ceduto per non rinunciare ai tuoi sogni sei una puttana. O ancora: “Perché hai continuato a frequentarlo?”. Come si fa a non capire che è proprio questa la prova della sopraffazione? Sono posizioni davvero disdicevoli, feroci. Asia va rispettata perché ci ha messo la faccia, in un racconto che contiene tutte le sfumature della sottomissione, dell’intimidazione, dell’accettazione contro la tua propria natura. Qualcuno l’ha rimproverata: “Perché non l’hai detto prima?”.

L’hanno rinfacciato anche alle altre: “Perché non hanno denunciato all’epoca?”. La legge in Italia dà sei mesi di tempo per denunciare una violenza, solo tre per una molestia... Ma la gente si rende conto di cosa significhi, per una donna che ha subito, vincere la vergogna e parlare? Il filosofo tedesco diceva: “La peggior crudeltà è far provare vergogna”. Tutte queste donne raccontano la stessa cosa: la sensazione più terribile che hanno provato è la vergogna. Se tu fai provare vergogna, sicuramente non sei un gentiluomo».Ma se un’attrice non ha mai visto un regista o un produttore comportarsi male? «Può dire solo una cosa: io non ho motivo di esprimermi sulle accuse, ma sto comunque dalla parte delle donne e voglio sapere la verità. Parliamo magari di ragazze di provincia venute tutte emozionate, con le loro foto, al provino con il grande regista: il fatto che con te, attrice affermata, sia stato irreprensibile che cosa significa? L’irreprensibilità non è una patente a vita».

Sulla lettera firmata dalle cento e passa artiste di Dissenso comune («Noi non puntiamo il dito solo contro un singolo molestatore, noi contestiamo l’intero sistema»), Sergio Castellitto è critico: «L’ho trovata molto generica. Quando si parla di “sistema” si rischia di diluire le responsabilità individuali e spegnere il problema. Si è scelta, anche nella protesta, la via più ecumenica. È una lettera sostanzialmente democristiana, che non ha mosso nulla. Questo è un Paese che ha una capacità impressionante di mangiare, digerire, vomitare e far sparire l’immondizia sotto il tappeto. E non basteranno quattro spillette ai David di Donatello per dire che siamo ancora vigili».

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