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Costume
Una vita più longeva? Tutta questione di fattore D

Al via lo studio Hebe, la prima ricerca osservazionale italiana sulla genetica dell’invecchiamento condotta dal CReI, il Collegio dei Reumatologi Italiani, sotto la guida del Presidente Stefano Stisi. «La longevità è una questione complessa, ma conoscendo meglio il gene recettore nucleare per la vitamina D (VDR), si potrà offrire una migliore qualità di vita non solo ai pazienti reumatici»

La tradizione popolare lo sosteneva da sempre, ma oggi i dati statistici non lasciano dubbi: la longevità si è stabilita a San Marco dei Cavoti. In questo paesino del beneventano di poco più di 3500 anime, situato a qualche passo dalla più nota Pietrelcina, da tempo infatti si riscontra nella popolazione un elevato numero di centenari. Quali fattori permettono a questi abitanti di tagliare un traguardo così ambito? Sulla base di questo interrogativo, il CReI, il Collegio dei Reumatologi Italiani, sotto la guida del Presidente Stefano Stisi, ha dato avvio al primo studio osservazionale nazionale sui fattori che incidono sulla qualità dell’invecchiamento della popolazione. «Oltre adindagare i livelli nel sangue di vitamina D e del polimorfismo del gene VDR di questi abitanti, il recettore nucleare che si correla alla longevità ed alla qualità di vita, è fondamentale analizzare la loro relazione con uno stile di vita ancora a misura umana, senza quei problemi di sovraffollamento che caratterizzano le grandi città ed all’impatto psicofisico positivo di una maggiore capacità di percezione di felicità, grazie alla semplicità sociale», dichiara il Presidente Stisi.  

L’indagine, che porta il nome dell’enofora Hebe, la mitologica dea greca dispensatrice del nettare dell’eterna giovinezza, durerà circa quattro mesi. Verrà condotta su due gruppi di sammarchesi, composti da circa 150 persone ciascuno. Da una parte saranno studiati gli ultranovantenni e i loro figli con più di 60 anni, dall’altra gli ultrasessantenni che da tre generazioni non annoverano novantenni in famiglia. A tutti verrà sottoposto un questionario con domande sulle abitudini alimentari, relazionali, sulle caratteristiche socio-economiche e culturali. Infine, ai membri di entrambi i gruppi verrà prelevato un campione di sangue che sarà analizzato dai laboratori di genetica dell’Ospedale Rummo di Benevento, con l’obiettivo di conoscere il sottotipo di recettore nucleare per la vitamina D (VDR) oltre che misurare i livelli ematici di Vitamina D. «Con questo studio, analizzeremo anche il rapporto tra le comorbilità con altre malattie dell’invecchiamento», continua il dottor Stisi. «Ci auguriamo di confermare quanto emerso già dai lavori di altri gruppi di ricerca negli USA, europei e iraniani, ossia che la longevità è strettamente correlata al gene VDR con polimorfismo FF». 

«Se la ricerca confermerà che il polimorfismo del gene VDR-FF è più efficiente nei longevi, potremo fare molto di più per le malattie reumatiche dell’invecchiamento che riguardano l’apparato locomotore, come la osteoporosi o l’artrosi, e per quelle neurodegenerative come l’Alzheimer, per esempio», dichiara il dottor Stisi. «Studiare se quindi possiamo modificare la risposta genetica ai meccanismi di invecchiamento, grazie all’introduzione di una dose adeguata di un antiossidante come la Vitamina D, ormai considerata un ormone, potrebbe aiutarci a offrire una migliore qualità della vita ai pazienti che hanno a che fare con il dolore e a quella dei futuri anziani. Una tale ipotesi potrebbe essere di grosso aiuto per la prevenzione delle patologie degenerative dell’apparato locomotore, verso la cui cura – purtroppo - siamo fermi a 30 anni fa », conclude il Presidente del CReI. 

 

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