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Cronache
Alfonso Sabella: "Ho pensato al suicidio. Condannato a morte dallo Stato"
Alfonso Sabella

«Ho pensato al suicidio». Sfogo pesantissimo, e un’accusa clamorosa, nelle parole di Alfonso Sabella a Vanity Fair, che intervista il magistrato – responsabile della cattura di molti boss mafiosi (da Brusca a Bagarella) e castigatore dei clan di Ostia quando era assessore alla legalità a Roma nella giunta Marino – alla vigilia del Wired Next Fest, dove interverrà il 26 maggio con Francesco Montanari e Stefano Lodovichi, rispettivamente protagonista e regista della serie Il Cacciatore, tratta dalla sua autobiografia.

La sua profonda amarezza, spiega nell’intervista è dovuta alle conseguenze dell’inchiesta sui fatti del G8 del 2001 a Genova, dove Sabella – in quanto capo del servizio ispettivo del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria – era responsabile del carcere provvisorio di Bolzaneto: in seguito ai risarcimenti dovuti dallo Stato ai detenuti per le violenze subite, è stato infatti condannato in primo grado a risarcire parte del danno erariale alla Corte dei Conti, e sempre a causa dell’inchiesta era stata annullata la sua nomina a consigliere della stessa Corte, nomina voluta da Paolo Gentiloni. La condanna amministrativa gli ha contestato una responsabilità «in via sussidiaria», anche se nel processo penale – proprio a causa della minore rilevanza del suo coinvolgimento rispetto a quello degli altri imputati – la sua posizione era stata archiviata.

«Sono amareggiatissimo», dice Alfonso Sabella a Vanity Fair, «perché dopo aver sempre dato la possibilità a tutti, anche ai peggiori criminali, Totò Riina compreso, di difendersi, a me – che sono stato l’unico in quel processo a rinunciare alla prescrizione, che sono stato archiviato ma l’unico a chiedere di essere processato – non è mai stata data la possibilità di produrre un documento o far sentire un testimone».

Il risarcimento, spiega, ammonta «a circa un milione di euro, che potrà diventare il doppio se viene accolta un’eccezione di incostituzionalità. Esattamente il doppio del mio patrimonio. Farò appello e spero che mi consentano di far sentire almeno un testimone, perché la mia posizione è pacifica: dove – e solo dove – ero presente io non è stato torto un capello agli arrestati e le disposizioni da me date sono state ritenute pienamente corrette dal Tribunale. Ma se non mi daranno nemmeno questa possibilità, significa che la decisione è stata presa, significa che sto pagando il fatto di aver detto frammenti di quella verità sul G8 di Genova che nessuno ha voglia di sentire, su quello che è accaduto a Genova realmente in quei giorni: il piano degli arresti preventivi cambiato in corso d’opera per aizzare i manifestanti, le responsabilità della Procura… Sono l’unico tra gli uomini dello Stato che ha raccontato le verità che sapeva. Di fatto mi stanno condannando a morte».

Perché parla di morte?

«Non ho alternative: se la sentenza passa in giudicato, il danno e la responsabilità erariale diventerà trasmissibile agli eredi».

Sta dicendo che ha pensato al suicidio per salvare sua figlia da un debito?

«Ci ho pensato, e non solo per motivi economici. Sono stato un fottuto idealista, ma mi devo arrendere al fatto che ho sacrificato tanto allo Stato e ora lo Stato sacrifica me. Prima mi sbatte a Firenze quando scopro e ostacolo la “dissociazione” dei mafiosi (la presa di distanza da Cosa Nostra, senza pentimento, che avrebbe consentito di evitare il 41bis, il carcere duro, ndr), poi quando becco i 700 milioni di euro che si stanno fregando i furbetti del Piano Carceri mi sposta a far niente in via delle Zoccolette (altra sede del ministero di Giustizia, ndr), dopo aver fatto l’assessore alla legalità a Roma, dove ho casa e affetti, mi mandano a Napoli nonostante le garanzie che mi avevano offerto. In tutto questo a Genova sono stato l’unico a impedire che venissero commesse violenze, sono l’unico al mondo che si è opposto alla richiesta di archiviazione nei suoi confronti e nonostante questo non mi fanno un processo e 17 anni dopo mi condannano a morte. Che cosa altro dovrei fare?».

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