Bullismo, "E' espressione di una patologia, il ceto sociale non c'entra"
Bullismo: e' l'espressione di una patologia, il ceto sociale di provenienza non c'entra nulla. Parla la psicoterapeuta Marzia Fabi
Il turbamento e la difficoltà 'naturalmente fisiologica' nel passaggio dall'età adolescenziale a quella adulta per i repentini e sconvolgenti cambiamenti nel fisico e nella mente, può a volte degenerare in una vera e propria patologia e portare ad atti e comportamenti 'asociali' e violenti: bullismo e baby gang, cutting e isolamento, uso smodato e abuso di alcool e droghe.
Tutti comportamenti questi non condivisi perchè non accettabili e comprensibili dall'insieme della società.
Appurate esistenza e consistenza del fenomeno sociale, il bullismo, bisognerebbe prima capire cos'è che spinge un adolescente a metter in atto comportamenti ostili e violenti contro altri coetanei o contro adulti, in particolare contro gli insegnanti come riportano i fatti di cronaca, e poi intervenire adeguatamente e non improvvisando.
Fermo restando che si tratta comunque di una minoranza - la stragrande maggioranza degli adolescenti, infatti, riesce a viversi il suo disagio in maniera del tutto naturale, senza arrivare a comportamenti di sopraffazione, denigrazione e violenza verso sè e gli altri - non bisogna far passare l'immagine di adolescenti persi, depressi, violenti, asociali.
Poco o nulla aiutano in tal senso analisi pur raffinate e dotte secondo cui il bullismo dipende dal livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, il rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza, nè tanto meno la risposta può essere la repressione: bocciare gli studenti responsabili, molto più sensato recuperarli.
E, allora, da dove cominciare la ricerca su questo allarmante fenomeno sociale del bullismo?
Da una illuminante affermazione della psicoterapeuta, Marzia Fabi: il bullismo è l'espressione di una patologia mentale sottostante, anche seria, che si manifesta nella relazione malata tra chi, il forte, agisce la violenza e chi, il debole, la subisce senza ribellarsi.
La Fabi in breve tempo ha, insieme a due colleghe, Cecilia Di Agostino e Maria Sneider, dato alle stampe due stupendi e coraggiosi saggi riguardanti proprio il mondo dell'adolescenza: Autolesionismo - Quando la pelle è colpevole e Depressione - Quando non è solo tristezza, entrambi editi dalla casa editrice L'Asino d'oro.
La psicoterapeuta il mondo dell'adolescenza lo conosce bene, lavora da anni con i ragazzi, anche nelle scuole dove svolge progetti di prevenzione della malattia mentale e per questo ne parla a ragion veduta, meglio di qualsiasi opinionista che ne scrive se non a vanvera, certamente in modo approssimativo e superficiale, come del resto fa la vulgata culturale e mediatica che vorrebbe attribuire al fenomeno 'cause' del tutto opinabili.
Il bullismo - è l'opinione originale della Fabi - non lo si può dare come il prodotto del ceto sociale di provenienza. E non solo. Non è, come si dice spesso, opera di Satana, nè è una traccia del peccato originale. E nemmeno - precisa - si lega a un istinto connaturato alla specie umana che perciò sarebbe naturalmente cattiva e perversa: per me, ci tengo a ribadirlo, è l'espressione di una patologia sottostante, a volte anche seria, che si manifesta nella relazione malata tra chi, il forte, agisce la violenza e chi, il debole, la subisce senza ribellarsi.
Il primo passo, dunque, è ribellarsi a una cultura dominante, supportata dai media compiacenti, che ripete luoghi comuni: la violenza innata, la cattiveria, la malvagità dei bambini, affini a concetti e credenze di stampo religioso.
Ma cos'è allora, per non restare nella confusione, il bullismo che porta ad atti e comportamenti violenti?
Vale la pena seguire la traccia della psicoterapeuta la cui formazione è strettamente legata ai seminari di Analisi collettiva dello psichiatra Massimo Fagioli e alla sua teoria della nascita.
Il bullo, il forte, e la sua vittima, il debole, denotano, con i loro comportamenti distinti: il primo agisce la violenza e l'altro la subisce, due patologie mentali sottostanti differenti ma convergenti nell'instaurare una relazione malata.
Ecco, per la Fabi, chi è la vittima, cioè chi subisce la violenza.
Di solito è un bambino che non viene 'visto' dai genitori, che vive perciò rapporti affettivi carenti: genitori presenti sul piano materiale ma distanti affettivamente. Spesso il bambino sviluppa il pensiero che le disattenzioni e il poco interesse da parte degli adulti significativi siano perchè è lui in realtà ad essere poco interessante. Questo genera sensi di colpa e sentimenti di vergogna che sarebbero alla base di un'idea di sè negativa e di forme depressive di varia gravità.
E chi è il bullo, colui che agisce la violenza?
Il bullo invece si trova a vivere situazioni familiari più compromesse in cui gli adulti sono assenti e fatui e, molto spesso, aggressivi verbalmente e violenti fisicamente, per cui il bambino subisce continue delusioni legate a rapporti fortemente violenti che diventano però la normalità.Sentimenti di rabbia, di odio e di rivalsa caratterizzano, dunque, il bullo e, al contrario, sentimenti di inadeguatezza, di insicurezza e fragilità caratterizzano le vittime che vengono prese di mira e derise proprio per questi motivi.
Andando ancora più in profondità, la psicoterapeuta rivela un'amara realtà.
Il bullo perde l'affettività, la capacità di amare in senso lato e di interessarsi al rapporto interumano. La vittima mantiene invece una sensibilità, pur se impoverita, e spesso è oggetto di invidia da parte del bullo per questa sua realtà affettiva ancora presente che lui, il bullo, invece ha perso.
Perchè la patologia sottostante può diventare seria e quando?
Finchè nella relazione ci sono odio e rabbia, un rapporto affettivo, seppur malato, c'è. Quando il forte supera il livello dell'odio e della rabbia e diventa anaffettivo, freddo, agisce, senza la violenza fisica, la pulsione d'annullamento nei confronti dell'altro, il debole, come se non esistesse e non fosse mai esistito. Questo può determinare angosce molto profonde in chi subisce l'annullamento perchè essere annullati come esseri umani, essere considerati inesistenti o insignificanti, può portare a un crollo interno e, a volte, al rischio di suicidio. Visto che per gli altri io non esisto o sono insignificante, allora non esisterò più, mi tolgo di mezzo.
Ecco perchè il bullismo è un fenomeno sociale molto serio e pericoloso che va però contrastato con interventi mirati di prevenzione nelle scuole, con campagne di informazione e di sensibilizzazione, e non con analisi dotte ma approssimative e superficiali nè con ricette repressive: pronti alla bocciatura, no! pronti a far loro ritrovare gli affetti perduti, sì!