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Cronache

In carcere ci si suicida oltre 18 volte in più rispetto a quanto avviene tra la popolazione libera. Gli ultimi dati disponibili del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria riferiscono di 61 suicidi tra i detenuti nel 2018 (67 secondo Ristretti Orizzonti), 504 dal 2009 al 2018 (564 secondo Ristretti Orizzonti). Il suicidio non riguarda solo i detenuti ma anche gli agenti di Polizia penitenziaria che, con i primi, condividono la vita all'interno del carcere. Tra il 1997 e il 2018 sono 143 gli agenti che si sono tolti la vita (dati Ristretti Orizzonti), già sette i casi registrati nel 2019. L'ultimo il 10 luglio: un agente in servizio alla Casa circondariale di Bologna si è ucciso nella sua casa in Abruzzo, aveva 35 anni. Ad aprile un altro, sempre a Bologna. A giugno un agente originario di Sassari che, da anni, lavorava a Vigevano si era ucciso mentre era in ferie in Sardegna. “Il carcere è un contenitore di disagio sociale e noi siamo dall'altra parte, disarmati, senza strumenti per affrontarlo”, dice Nicola D'Amore, delegato del Sinappe, il Sindacato nazionale autonomo di Polizia penitenziaria, di stanza alla Casal circondariale di Bologna.

Da tempo, il Sinappe chiede l'attivazione di punti di ascolto psicologico presso le strutture detentive per prevenire e fronteggiare eventuali problemi di stress lavorativo e di burnout tra gli operatori. Rivendicazione ribadita dal segretario regionale dell'Emilia-Romagna, Gianluca Giliberti, a poche ore dalla notizia del suicidio dell'agente in Abruzzo. “Non possiamo accettare un ennesimo suicidio, proviamo rabbia e dolore – ha detto Giliberti – Il carcere è una macchina articolata, con molteplici difficoltà e precarietà che vanno fronteggiate quotidianamente, spesso con scarse risorse e strumenti utili. Auspichiamo che l'Amministrazione penitenziaria prenda in carico seriamente questa piaga, con giusti interventi da porre in loco, e non con un mero numero verde nazionale, a tutela del sacrosanto diritto alla vita dei lavoratori”. Giliberti ha anche annunciato una fiaccolata di solidarietà per sensibilizzare le autorità locali.

La sindrome da burnout nella Polizia penitenziaria è un tema che è stato affrontato anche dall'Amministrazione comunale di Bologna in un'udienza conoscitiva del settembre 2018 proposta dalla presidente della Commissione Sanità, Politiche sociali, Sport, Politiche abitative, Maria Caterina Manca. E dei punti di ascolto psicologico il Sinappe ha parlato con i garanti dei detenuti, regionale e comunale. Ma la questione è complicata e richiede un “cambiamento culturale”, secondo D'Amore. “Chi si trova in questa situazione difficilmente parlerà del proprio disagio, la paura è quella di venire etichettati, di essere guardati in maniera diversa dai colleghi – dice – Ma quando un agente trova un detenuto impiccato nella sua cella, dovrebbe essere il protocollo a prevedere un sostegno di tipo psicologico, purtroppo non è così. Con il risultato che quello che vivi dentro poi te lo porti a casa, e non tutti sono abbastanza forti da sopportarlo”. Dello stesso parere anche Giuseppe Merola, segretario regionale del Sinappe per la giustizia minorile: “Il carcere è per gli specialisti del trattamento, noi non abbiamo quella preparazione”.


Altro problema è quello degli organici, fortemente sottodimensionati. In Italia secondo gli ultimi dati sono oltre 37 mila gli agenti di Polizia penitenziaria, di cui solo 31 mila presenti: una carenza del 16%, con punte superiori al 20% in Marche, Emilia-Romagna, Calabria e Sardegna (dati Antigone). Gli educatori effettivamente presenti sono 925 (dovrebbero essere circa mille) con un rapporto medio detenuti/educatori di 1 a 78 con variazioni molto evidenti da carcere a carcere. Alla Dozza, ad esempio, sono 5 invece di 12 (a cui si aggiunge un capo area che però non ha in carico nessun detenuto) quindi 1 ogni 117 (definitivi). Stabile invece il numero di volontari: oltre 16 mila. “I volontari danno un grandissimo contributo, rendono meno gravoso il lavoro della Polizia”, spiega D'Amore. In calo il numero dei mediatori culturali. E poi mancano direttori e vicedirettori. “Al minorile di Bologna dovremmo avere un funzionario, tre sovrintendenti, due ispettori e 43 agenti mentre abbiamo un funzionario pro tempore che finisce l'incarico il 16 luglio, un viceispettore e 40 agenti di cui otto distaccati presso altre strutture – spiega Merola – Con 23 ragazzi su una capienza di 22, di cui 11 maggiorenni. E si prospetta un raddoppio delle presenze con l'apertura di un secondo piano, a cui noi ci opponiamo”. Sulla situazione del minorile il deputatao del Partito democratico Gianluca Benamati ha presentato un'interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia.

da Redattore Sociale

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