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Cronache
Condannato a 9 anni e poi assolto. Errore nell'uso del Trojan
corte d'appello

Ritirato il verdetto inziale: magistratura ascolta illegalmente colloqui privati

Condanna di primo grado con rito abbreviato a 9 anni e 4 mesi di detenzione. Capo d’imputazione: traffico e detenzione di stupefacenti. Questo quanto decretato da cinque magistrati della Corte d’Appello, nei confronti di M.J., cittadino albanese, un anno e mezzo fa. Uno scenario non insolito per i giudici della Corte d’Appello, se non che, questa volta, ad aver commesso un illecito non è stato l’imputato, ma la magistratura.

M.J., che si è trovato ad essere prima colpevole e poi vittima, è stato arrestato il 23 marzo 2021, con l’accusa di reati di droga, dopo essere stato ascoltato a casa sua e al di fuori, tramite un “captatore informatico”, meglio noto come trojan.

Lo strumento in questione, in grado di “nascondersi” tra i colloqui privati degli individui, (proprio come era nascosto il cavallo a Troia da cui prende spunto il nome), secondo una pronuncia della Cassazione del 2016, è stato introdotto in campo giudiziario solo per indagare sui reati di criminalità organizzata e non per i reati comuni, nei quali rientrano anche quelli di droga.

Il legale dell’imputato, l’avvocato Francesca Beretta, ha riproposto la questione in appello, ottenendo la riduzione della condanna prevista per M.J., da 9 anni e 4 mesi, ad un 1 anno e 6 mesi, con immediata revoca della custodia cautelare.

Il verdetto è definitivo. Per i reati commessi dopo il 31 agosto del 2020 è tuttora in vigore la riforma Orlando, che consente i trojan anche per reati comuni, ma in presenza di condizioni molto rigide a garanzia dell’indagato. Nel caso in questione, nessuna possibilità di condanna per M.J., i cui reati sono riconducibili al 2019, un anno prima che la legge Orlando entrasse in vigore.
 

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