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Cronache
Dl Sicurezza, quando il benefattore è malefico

Come conseguenza del “Decreto sicurezza” molti immigrati sono stati mandati via dalla struttura che li ospitava, non hanno saputo dove andare e sono rimasti per la strada. Uno di loro ha detto in televisione che non trovavano nemmeno appartamenti da prendere in affitto.

La prima cosa che mi ha addolorato è stata l’idea che molti avranno creduto che quell’uomo esagerasse. E invece diceva la perfetta verità. Ma non si è trattato affatto di razzismo, come si potrebbe pensare. Infatti io stesso, che non mi credo un razzista ed ero tanto dispiaciuto per loro, non gli avrei certo affittato nemmeno una stanza. Il fatto è che lo Stato ci obbliga prima ad essere vittime e poi, fatta un’amara esperienza, ad essere spietati.

Dopo aver avuto a che fare con inquilini che non pagavano, non venivano mandati via dal giudice (se non dopo molti mesi) e non avevano nulla che gli si potesse sequestrare, ho deciso di chiedere a tutti garanzie immobiliari. Così, quando una volta venne a chiedermi l’appartamento un immigrato di colore (ovviamente nullatenente) gli dissi di no. Ovviamente mi sentii in dovere di essere doppiamente gentile, perché lui avrebbe potuto pensare ad un pregiudizio razziale. Tanto che il poveretto non si capacitava della mia evidente benevolenza unita alla più ferrea chiusura. Dovevo sembrargli un po’ fuori di testa. Lui non solo protestava la propria onestà, ma mi spiegò anche che, se non avesse pagato, lo Stato lo avrebbe certo fatto sloggiare. “Al suo Paese, forse, gli dissi. Non certo qui. Da noi persino uno sfratto per morosità, il più grave di tutti, permette ancora all’inquilino – anche a quello privo di scuse, anche a quello che non ha pagato sin dal primo mese in cui ha preso possesso dell’appartamento – di rimanere nell’alloggio ancora per molto tempo. A volte anni”.

Il poverino non voleva credermi. Non era verosimile. E inverosimile gli appariva anche la mia richiesta di garanzia immobiliare, sua o di altri che fosse a sua volta proprietario di un immobile. “Allora lei affitta una casa soltanto a qualcuno che ne ha già una, e non a me, che non ne ho nessuna?” “Per l’appunto, gli spiegavo. Perché se lei ha un’altra casa, può darsi che riesca a farmi pagare, almeno in parte. Mentre col nullatenente parto perdente e arrivo perdente”.

Insomma, per favorire il disonesto che non pagava, lasciandolo approfittare per mesi e mesi di un bene altrui, lo Stato metteva l’uno contro l’altro due galantuomini. Io non potevo farci nulla. E, per quanto ne so, le cose non sono cambiate. Ma c’è di peggio. Mentre uno sfratto per morosità ha qualche possibilità di andare in porto (anche se i carabinieri non sono molto disponbili per le estromissioni forzate degli insolventi) lo Stato vieta lo sfratto delle famiglie in cui c’è un handicappato, un vegliardo o un malato grave. L’ovvia deduzione è che non bisogna locare la casa se il futuro locatario rientra in uno di quei casi. A forza di bontà, lo Stato ci insegna a non locare neanche uno scantinato a chi è povero, malato, handicappato, insomma a chiunque normalmente avrebbe diritto alla nostra pietà.

Il punto è che i nostri cari parlamentari “fanno i froci col culo degli altri”, come dicono a Napoli. Se lo Stato ha pietà di chi non paga la pigione, dovrebbe sopperire dandogli una casa popolare o pagandogli l’albergo, non obbligando un innocente padrone di casa a farsi carico delle necessità altrui. Lui non s’è assunto nessun obbligo di assistenza verso gli anziani malati o verso i minorati, e spesso non potrebbe neppure permetterselo. Se obbligo c’è, incombe sulla collettività. Nello stesso modo, lo Stato impone al datore di lavoro particolari (e onerose) concessioni nei confronti delle dipendenti che hanno un figlio, e anche questa è una nobile causa: purché sia a carico della collettività. Se invece il peso viene posto a carico del datore di lavoro, costui cercherà di non assumere donne in età da avere un figlio. Con conseguente discriminazione a loro sfavore.

Quando è a spese degli altri, la bontà si chiama estorsione. E ancora, quando la bontà si risolve in uno svantaggio per coloro che si volevano favorire, non è bontà, è stupidità. Per le locazioni si sono realizzate nel tempo leggi sempre più stringenti (a partire dall’equo canone e fino a raddoppiare le imposte sulle case sfitte) per evitare che il padrone di casa potesse sfuggire al suo destino di fornitore di alloggi “sociali”. E ciò mentre il “riccastro” continua a pagare le tasse, il condominio, le riparazioni straordinarie e l’avvocato, per cercare di liberarsi dell’inquilino.

La conseguenza finale – che abbiamo vissuto in Italia – è che il mercato delle locazioni è pressoché morto . Chi possiede un appartamento non lo loca, lo vende. E infatti siamo tutti proprietari di casa nostra (all’80%, per essere esatti). Traduzione: chi vuole un tetto deve comprarselo. Così lo Stato ha creduto di favorire chi ha difficoltà a pagare una pigione.

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