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Cronache
Emanuela Orlandi, sconvolgenti rivelazioni su lei e Mirella Gregori

Fabrizio Peronaci è, dal 1998, caposervizio della cronaca nera presso la redazione romana del Corriere della Sera. Dunque, da anni, segue i terribili casi di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori.

Nel 2011 (con Pietro Orlandi, fratello di Emanuela) firmò il libro “Mia sorella Emanuela” (sottotitolato “Sequestro Orlandi: Voglio tutta la verità”). Nel 2014 scrisse il volume “Il Ganglio” (col sottotitolo “Un supertestimone, il sequestro Orlandi e un gruppo di potere occulto negli anni della Guerra Fredda in Vaticano”).

Nel 2015 pubblicò il racconto intitolato “Vi supplico, non chiamatemi Mirella”. L’anno scorso uscì il suo libro dal titolo “La tentazione” (Una storia vera. Una donna, un frate, un amore. Un dossier segreto scuote il Vaticano), che in questi giorni si è rivelato di grande attualità, in quanto ha anticipato parte delle accuse contenute nel dossier contro il Papa scritto dell’ex nunzio apostolico Carlo Maria Viganò. Forse perché (insieme a pochissimi altri) Peronaci è uno dei giornalisti realmente attenti alle sorti delle due sventurate ragazze, come a ciò che avviene in Vaticano e nel clero romano, recentemente è stato contattato da una persona che gli ha svelato quanto sa sui casi Orlandi e Gregori, dunque non potevamo esimerci dall’intervistarlo.

Salve dottor Peronaci. Può svelare ai nostri lettori chi sia la Sua nuova fonte?

«Ovviamente, se una fonte chiede di essere tutelata, è dovere di noi giornalisti non svelare la sua identità. Ne va della sopravvivenza di questo mestiere: specialmente casi complessi come quelli che seguo da molti anni, spesso a metà strada tra cronaca nera e complotti di Stato, resterebbero per sempre irrisolti se ci si affidasse soltanto alle veline ufficiali o ai sussurri di qualche magistrato. Detto questo, posso svelare alcuni elementi obiettivi: il prelato che di recente è uscito allo scoperto su Emanuela e Mirella ha più di 90 anni, indossa la fascia paonazza da monsignore, ha lavorato a lungo a Roma per una importante congregazione e nella sua carriera ha conosciuto le personalità ecclesiastiche di maggior spicco all’epoca del doppio sequestro, i torbidi anni Ottanta del secolo scorso».

Tale monsignore cosa Le ha riferito in merito ad Emanuela Orlandi?

«Emanuela, secondo l’alto prelato, venne uccisa nelle ore successive alla scomparsa, quel 22 giugno 1983, dopo essere stata affidata ad alcuni religiosi dell’ordine benedettino. Dapprima sarebbe stata portata nel complesso di Sant’Anselmo, all’Aventino, nel centro di Roma, dove qualcuno la vide arrivare attorno alle ore 19. Più tardi sarebbe stata caricata su un’auto e trasferita verso il Nord Italia».

C’è qualcosa di nuovo che può annunciare, attraverso questa intervista ad “Affaritaliani”, in esclusiva?

«Emanuela Orlandi, sostiene l’alto prelato, fu ingannata e tentò di liberarsi e di fuggire. Purtroppo non ci riuscì. Questo scenario, per ora soltanto abbozzato e ancora da riscontrare, fa immaginare una dinamica che non è mai stata presa in considerazione dalle inchieste giudiziarie: quella dell’omicidio preterintenzionale, non volontario né premeditato, seguito dall’occultamento del corpo».

E cosa Le ha riferito in relazione a Mirella Gregori?

«Mirella invece, quel 7 maggio 1983, sarebbe fuggita di casa con la promessa di restare nascosta una settimana in cambio di un regalo speciale: un motorino “Ciao” tutto per lei. La ragazzina sarebbe stata rinchiusa in un appartamento di periferia, in zona Anagnina, uccisa qualche mese dopo ed il cadavere gettato in un fiume. I rapitori le fecero trovare delle cassette con la musica di un cantante diverso da quello che le avevano promesso».

Il nuovo interlocutore ha spiegato perché, finalmente, si sia deciso a parlare?

«Sì, questo elemento è chiaro. L’anziano prelato non si sarebbe mosso e si sarebbe portato i suoi segreti nella tomba se non gli fosse giunta notizia di un depistaggio ideato alcuni anni fa, dopo l’elezione di Papa Bergoglio, proprio da esponenti brasiliani dell’ordine benedettino, lo stesso che lui accusa di aver avuto un ruolo fondamentale nella duplice scomparsa. Dopo aver assunto notizie in proprio, che si aggiungono a quel che già sapeva sul caso Orlandi, il monsignore ha quindi deciso di iniziare a parlare, con l’obiettivo di vanificare l’ennesima strumentalizzazione del cold case più famoso d’Italia, che avrebbe finito per colpire il papa argentino, da lui considerato il pontefice del rinnovamento. Lo schema ricalca ciò che avvenne circa un anno fa con la bufala dei quasi 500 milioni di lire spesi dalla Santa Sede per curare Emanuela Orlandi fuori dall’Italia: voce calunniosa, ai danni della Chiesa, messa in giro nell’ambito di qualche regolamento di conti interno».

Pensa che l’alto prelato riferirà in Procura? Le ha detto qualcosa in merito? Suppone che abbia altro da svelare?

«E’ la prima volta in 35 anni che una persona di Chiesa rompe il muro del silenzio. Per questo si tratta di una fonte fondamentale, anche perché molto di quel che sa ancora non è stato reso pubblico. Posso aggiungere tre elementi sui quali un riscontro potrebbe venire dalle famiglie e da Marco Fassoni Accetti (il fotografo romano indagato dalla Procura e prosciolto nel 2015 dopo che il capo, Giuseppe Pignatone, aveva tolto l’indagine a colui che l’aveva condotta per quasi dieci anni, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo). Il primo indizio riguarda gli Orlandi: Emanuela partecipò o no nel mese di marzo 1983 a una recita dell’Azione Cattolica? Pare infatti che la voce della quindicenne poi fatta pervenire in cassetta dai sequestratori sia stata registrata in quella occasione. Il secondo indizio chiama in causa i Gregori: Mirella desiderava davvero un motorino, ne aveva parlato in casa, lo aveva chiesto ai genitori? Terzo punto: Fassoni Accetti. E’ vero o no, come rivela il monsignore, che la sofisticata attrezzatura per non essere intercettati nelle telefonate di rivendicazione gli fu fornita dai servizi segreti francesi, per il tramite di ecclesiastici vicini al cardinal Poletti?»

Per la vicenda Orlandi, a fine luglio si è recato in Alto Adige, vuoLe dirci per quale motivo?

«La missione aveva due obiettivi. Primo: trovare un riscontro certo a una parte del racconto del monsignore sul viaggio di Emanuela verso Bolzano, e ciò purtroppo è mancato, almeno per ora. Secondo: incontrare nuovamente l’anziana donna, Josephine Hofer Spitaler, che sostenne di aver riconosciuto Emanuela (a Terlano, in provincia di Bolzano) in un maso in cui abitava un esponente del Sismi, gli allora servizi segreti militari, e da questo punto di vista il risultato è stato positivo. La signora (83enne) ha accettato, per la prima volta, di parlare davanti a una videocamera».

Alla luce delle novità riferiteLe, pensa che le famiglie Orlandi e Gregori faranno presto ricorso alla Procura di Roma per la riapertura delle inchieste?

«Non credo. Ho la sensazione che, dopo tanti anni e tante piste, stia prevalendo un comprensibile sconforto. La loro prima reazione, comprensibile, ripeto, ma a mio avviso poco lucida, è di pretendere che chi si fa avanti, come questa nuova fonte ecclesiastica, fornisca immediatamente il suo nome e bussi a piazzale Clodio. Sulla carta, sarebbe un comportamento ineccepibile, ma non dimentichiamo che la posta in gioco è alta: parliamo di una storia che investe la gestione di segreti di Stato italiani e vaticani e conduce più o meno direttamente a un fatto di gravità inaudita, l’attentato al Papa, avvenuto due anni prima e anch’esso caratterizzato da reticenze e collusioni. Né dobbiamo dimenticare, infine, che nel 2015 è stata proprio la Procura capitolina, nella persona del capo, a chiedere e ottenere l’archiviazione dell’inchiesta, mandando a casa Fassoni Accetti e gli altri sospettati. E’ naturale, in questo contesto, che chi sa qualcosa delle due vicende abbia timore a esporsi, per non restare con il cerino in mano come successo allo stesso Fassoni Accetti, che di certo un ruolo nei gialli lo ha avuto: basti pensare alle telefonate di rivendicazione del sequestro da lui fatte in Vaticano e alle famiglie, alla conoscenza di una miriade di retroscena mai rivelati sull’uso di messaggi in codice e alla riconsegna del flauto, riconosciuto a caldo come quello di Emanuela dagli stessi familiari».

Come saprà, il senatore pentastellato Vincenzo Santangelo (Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) ha riproposto l’istituzione di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Caso Orlandi, crede che riuscirà ad ottenerla entro l’anno? O, come nella passata legislatura, resterà chimera?

«Mi pare una prospettiva macchinosa: dove non sono arrivate due lunghissime inchieste giudiziarie perché dovrebbe giungere il Parlamento? Occorrerebbe una volontà politica compatta che mi pare manchi. D’altronde, riaprire l’inchiesta giudiziaria non sarebbe una assurdità, tutt’altro: di elementi indiziari forti, suscettibili di diventare prove nel corso dell’istruttoria e nell’eventuale successivo dibattimento, ne sono emersi anche dopo l’archiviazione del 2015».

A chi intenda seguire costantemente questi turpi casi, segnaliamo che su Facebook sia attivo il gruppo ufficiale (cioè creato da Pietro Orlandi, in simbiosi con la famiglia Gregori), denominato petizione.emanuela@libero.it. Consta di oltre 27.600 membri.

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