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Cronache
Esselunga e la giungla dei subappalti, i "bonus" di Conte dietro la tragedia
Firenze, crollo cantiere Esselunga

Esselunga, i "bonus" di Conte dietro la tragedia del cantiere

Il cantiere Esselunga crollato il 16 febbraio scorso a Firenze e le relative vittime sono una tragedia italiana. Nel senso che è una conseguenza di un agire sconsiderato tipico del nostro Paese, dove si confonde l’efficienza con il risparmio e il liberismo con lo schiavismo. Si tratta di un problema esiziale e cioè quello che va sotto il nome della “giungla dei subappalti”.

Per farsi un’idea della catena che si porta dietro il cantiere di Firenze basta guardarsi la lista delle aziende impegnate nei lavori: si tratta ufficialmente di più di 60 imprese che in un modo o nell’altro hanno frequentato il cantiere. Un numero impressionante che ricorda un film del passato, “Avanti c’è posto…”, con Aldo Fabrizi.

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Tutti sgomitano e tutti si ficcano dentro. Tutti corrono per trovarsi uno strapuntino nel tram del bengodi. Si va dalle grosse imprese di movimento terra, a quelle che si occupano delle fondazioni e dei pali, fino alle ditte di prefabbricati. Non mancano le società di restauri, di impiantisti, fino a giungere alle società addette alla sicurezza e a quelle addette allo smaltimento rifiuti e qui dovremmo aprire un altro tragico capitolo che ha distrutto e deteriorato l’ambiente, facendo crescere discariche abusive come funghi.

Ma quanto è lunga la catena dei subappalti? Teoricamente è infinita, grazie alle norme europee che spingono un mercato assolutamente deregolato. Più lunga è la catena dei subappalti maggiore è il rischio che venga meno la sicurezza dei cantieri. Infatti ad ogni nuova entrata corrisponde un esborso economico e alla fine più il tram è pieno e meno rimane per la sicurezza che dagli imprenditori viene in genere considerata un fastidio, una incombenza burocratica che costa soldi e tempo e che quindi occorre sbrigare alla bell’e meglio, con i risultati che poi abbiamo tutti sotto gli occhi.

La cosa singolare è che anche i costruttori Ance si esprimono contrariamente alla deregulation selvaggia. Ad esempio Rossano Massai, che è il responsabile per la Regione toscana dice: “Come i sindacati, anche noi siamo profondamente contrari alla liberalizzazione totale sui cantieri privati. Chiediamo che i cantieri privati vengano trattati come quelli pubblici. I pronunciamenti europei vanno nella direzione sbagliata. Nei cantieri edili devono starci gli operai del settore edile con il contratto di settore e dopo aver svolto tutti i corsi di formazione necessari. Invece con i subappalti a cascata sui cantieri si trova di tutto, soprattutto dopo che con la stagione dei bonus le ditte di edilizia sono spuntate come funghi, ma non hanno né preparazione né qualifiche”.

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E qui Massai coglie un altro punto fondamentale e cioè quello della “stagione dei bonus”, la scellerata pratica populista voluta dal governo in carica allora presieduto da Giuseppe Conte che ha prodotto una voragine nel bilancio pubblico aprendo la strada a imprese rapaci e a volte losche che sono piombate su milioni di condomini inermi, facendo incetta di denari pubblici e privati e rifilando spesso e volentieri anche grosse fregature sotto la minaccia di “perdere il bonus” qualora i condomini stessi avessero denunciato le irregolarità.

L’altro punto è che allungando il brodo dei subappalti chi ci va di mezzo è anche la formazione che pare un particolare secondario ed invece è fondamentale perché spesso gli operai sono inquadrati nel contratto metalmeccanico e non quello edile, per convenienza del committente. Va da sé che nel listone di più di 60 aziende nessuno sa esattamente “chi fa cosa” e si perde il controllo della catena di comando e logistica. Il cantiere diventa così una casba affollata da nani e ballerine di cui nessuno conosce alla fine origine e provenienza.

Altro elemento è la ricerca spasmodica del “massimo ribasso”, una norma che sembra di efficienza ma in realtà equivale a danzare sull’affilata soglia di un vulcano senza alcuna rete di protezione, perché appunto “costa troppo”. Chi alla fine ci rimette la vita sono gli operai, l’ultimo anello della catena, quello più debole, quello più indifeso, quello più inerme, quello più disperato. Spesso sono uomini in fuga da guerre, povertà e regimi dittatoriali che cercano solo un tozzo di pane per loro e le loro famiglie ma sempre più spesso trovano solo una trave che gli cade addosso uccidendoli, come è successo la settimana scorsa nella bella e civile Firenze.

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