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Cronache
Forteto. I penalisti contro il cardinale: vale la presunzione d’innocenza
Forteto - la comunità negli anni '70

L'Unione delle Camere Penali Italiane, ente che raggruppa gli avvocati penalisti del foro fiorentino, ha criticato il cardinale e arcivescovo Giuseppe Betori riguardo i fatti del Forteto. Perché? Per le parole pronunciate da quest’ ultimo durante la visita delle vittime a Roma (il 30 agosto) per conoscere Papa Francesco. Aveva detto Betori, promotore dell’iniziativa: «L'incontro con il Santo Padre è stato fonte di consolazione per le vittime ma il suo gesto di accoglienza rappresenta anche un importante segno di sostegno al cammino intrapreso dalle vittime perché emerga la verità sugli atti criminosi che hanno segnato la vita del Forteto, seminando profonda sofferenza che resta iscritta nella carne e nell’animo di tante persone. Una verità che deve essere sancita nelle aule della giustizia come pure deve diffondersi nella coscienza della collettività, soprattutto di coloro che hanno responsabilità nella conduzione della vita della società, chiamati ad assumere decisioni che riportino la legalità dove essa è stata così gravemente offesa, e impediscano la reiterazione dei crimini». La presunzione d’innocenza, però, ricorda l’Unione, vale sempre.

«Leggiamo con preoccupazione – riporta una nota integrale dell’Unione - le notizie delle dichiarazioni rese dal Cardinale Betori in relazione ai fatti relativi al processo fiorentino cd. de “ll Forteto”, oggetto di un contrastato accertamento penale, per reati di maltrattamenti e di abuso sessuale che sarebbero stati in passato commessi presso tale struttura, tuttora sottoposto al vaglio della Corte Suprema di Cassazione. Nonostante l’apprezzamento da noi sempre manifestato per la sensibilità dimostrata dalla Chiesa verso le condizioni carcerarie dei detenuti in favore della difesa dei diritti fondamentali della persona, non possiamo non rilevare come questi condivisi sentimenti di solidarietà e questa attenzione alle garanzie, che devono governare in ogni paese civile il processo penale e l’esecuzione delle pene, non possano tuttavia in alcun modo ritenersi disgiunti dal rispetto di quegli stessi valori e di quei principi costituzionali e convenzionali che sanciscono, assieme al ripudio delle pene inumane e degradanti e la finalità rieducativa della pena, anche la presunzione di innocenza».

E poi: «Il sostegno nei confronti delle vittime dei reati deve pertanto sempre contemperarsi con il rispetto delle esigenze del processo, con la conseguente necessità di esprimersi con prudenza e nel rispetto delle garanzie di tutti gli accusati soprattutto laddove si tratti di una “verità” non ancora“sancita nelle aule di giustizia”. Nessuna, pur legittima, aspettativa e nessuna ansia di giustizia espressa da una collettività ferita da un delitto può dunque stravolgere quel fondamentale principio, confondendo un’accusa complessa e controversa, tuttora sottoposta a controllo di legittimità, con un dato di verità già acquisito, rispetto al quale trarre conclusioni affrettate che potrebbero, in qualche modo, condizionare gli esiti del processo medesimo proprio in considerazione della straordinaria autorevolezza della persona dalla quale tali espressioni provengono».

Dal punto di vista giudiziario, la vicenda non è ancora conclusa. Dopo la sentenza di secondo grado nel processo principale, nel luglio 2016, che ha condannato 10 imputati (sei in meno del primo grado, 2015), la data dell’udienza in Cassazione non è ancora stata fissata. Dal punto di vista politico, invece, dopo i duri pronunciamenti delle due commissioni d’inchiesta regionali (2012/2013 e 2015/2016) sugli episodi emersi nel Mugello in oltre 30anni, spetta al Parlamento esprimersi. A maggio il Senato ha votato e dato il via libera per una commissione d’inchiesta bicamerale – che avrebbe i poteri dell’autorità giudiziaria. La Camera dei Deputati, però, deve ancora pronunciarsi.

 

twitter11@Simocosimelli

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