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Cronache
Genova rappresenta lo sfascio italiano
LaPresse

Genova rappresenta ancora una volta lo sfascio italiano? Ho pensato a lungo in queste due notti insonni se intervenire su questa tragedia, perché come opinionista non mi sentivo di sottrarmi alla riflessione.

E, badate bene, non è mia intenzione buttarla con faziosità sul piano politico, anche se la politica c’entra eccome, ma l’intento è quello di fare un’analisi diversa, e far conoscere i fatti. Si parla spesso di un’Italia con grossi problemi legati alle infrastrutture, ma capiamo esattamente cosa significa questo termine, e poi passiamo al resto. “Per infrastruttura s'intende uno, o la serie di elementi strutturati, che intermedia i rapporti tra i vari componenti di una struttura.”*(Fonte:Wikipedia) Una definizione di per sé un po' astratta poiché è facile considerare ogni oggetto, anche di uso comune, come facente parte di una infrastruttura più ampia. Per esempio, si parla di infrastrutture critiche, riferendosi alla sicurezza dello Stato,ed in campo dell’economia, con il termine "infrastruttura" si va a delineare la rete di beni e servizi che, pur non operando direttamente sul sistema produttivo, è fondamentale per lo sviluppo socio-economico del Paese mediando i rapporti tra le parti. Trasporti, energia e telecomunicazioni fanno parte di quella serie di infrastrutture che devono presentare un'elevata accessibilità a basso costo per consentire al Paese di crescere. Poi, si aggiungono le infrastrutture di base, quelle che permettono allo Stato di espletare le sue funzioni e in aggiunta le infrastrutture sociali, importanti per garantire i servizi fondamentali al cittadino. Nel campo dell’ingegneria, l’infrastruttura rappresenta l'elemento, o l'insieme dei componenti, che struttura ( appunto) un territorio secondo le necessità umane, ad esempio le reti dei trasporti, sia di energia che di mezzi e persone, come strade, ferrovie, canali, gasdotti, oleodotti ecc. Troviamo, poi, tra le infrastrutture le reti di telecomunicazione (rete telefonica, emittente televisiva, emittente radiofonica ma anche la rete informatica nel suo complesso), vitali (acquedotti), di scarico (fognature) e di difesa del suolo (impianti di smaltimento rifiuti, così come le reti di prevenzione dal rischio idrogeologico). Ciò riguarda anche ospedali, scuole ma anche le infrastrutture di base composte da carceri, stazioni di polizia e dell'esercito, tribunali etc. Il termine 'infrastrutture' quindi disegna un ampio perimetro di quel complesso di beni capitali che, pur non utilizzati direttamente nel processo produttivo, forniscono comunque una serie di servizi indispensabili per il funzionamento del sistema economico. L'importanza delle infrastrutture, in merito al conto economico viene dimostrata da un dato importante: nelle opere pubbliche, e nei paesi industrializzati, si aggira attorno al 35-40% di capitale complessivo. La gestione delle infrastrutture non può però prescindere dalla presenza dello Stato; più che giustificata presenza. Io la definirei meglio come “vigile ed attenta puntuale sorveglianza”.

Ricorderemo come nell’800 abbia prevalso, per certi versi, il regime della concessione, cioè imprenditori e capitali privati che provvedevano a garantire il finanziamento ed alla gestione delle reti infrastrutturali più importanti. Con l'inizio del 900 siamo tornati un po’ indietro, cioè al regime della proprietà pubblica, questo a seguito di importanti operazioni di nazionalizzazione (si pensi alle Ferrovie), proseguite con diversa intensità almeno fino agli anni 60/70.

Ma è a partire dagli anni 80 che avvenne il cambiamento rispetto alle politiche di privatizzazione. Due le principali soluzioni: la gestione affidata a un'impresa privata sottoposta a regolamentazione e la gestione affidata a un'impresa pubblica. La prima si basa su un'impresa che, proprio in quanto privata, ovviamente massimizza il suo profitto. Gli organi regolatori devono quindi doverosamente controllare proprio questo: i profitti eccessivi, la qualità del prodotto e garantire che vengano evitate pratiche di tipo discriminatorio..D'altro canto l'utilizzo dell'impresa pubblica dovrebbe garantire l'applicazione di prezzi ottimali, l'adozione di politiche distributive e il soddisfacimento di esigenze sociali (ad esempio l'allacciamento di linee telefoniche a piccole località isolate), obiettivi tipici dei servizi pubblici. Ma l'impresa pubblica, d’altro canto, non essendo tenuta alla massimizzazione del profitto e non dovendo, in genere, rispettare vincoli di bilancio, “può” utilizzare processi di produzione non efficienti, che non minimizzano i costi di produzione; e dall'altro lo stesso potere pubblico (la classe politica) può assegnare, anche implicitamente, obiettivi che riflettono non l'interesse generale ma quello di gruppi ristretti, vuoi di produttori, vuoi di consumatori, vuoi di dipendenti dell'impresa pubblica stessa. Si deve quindi concludere che in entrambe le soluzioni vi siano problematiche. L’interazione tra pubblico e privato nella gestione dei servizi e delle infrastrutture non deve venir visto come dèmone, ma seguito e supportato con azioni di verifica puntuale.

In tempi recenti si è affermata, infatti, una politica favorevole alle imprese private, attuata mediante dismissioni, via via, delle imprese pubbliche. Anche in Sanità prevedere interazione pubblico/ privato renderebbe più agevole il servizio di cura. Le ragioni di questo sono da riferire sicuramente ad un minor peso economico e relativa responsabilità del cosiddetto 'servizio pubblico'. Fondamentale però rimane la necessità di avere un sistema infrastrutturale gestito secondo rigorosi criteri di efficienza e, ripeto all’infinito, osservanza delle regole di preparazione, efficienza, legalità e sicurezza.

Ma torniamo a Genova, ed alla società che gestisce il tratto incriminato. Perchè, direte voi. Perché se non si conosce la storia, non si può comprendere e sollevare critiche e riflessioni inerenti un dato accadimento.

Dal sito Autostrade.it, si evince che Autostrade per l’Italia si posiziona ai primi posti in Europa tra i concessionari di costruzione e gestione di autostrade a pedaggio con una rete di circa 5.000 km in Italia, Brasile, Cile, India e Polonia. Ricordate il gruppo IRI,? Si tratta dell’Istituto di Ricostruzione Industriale creato nel 1933 da Mussolini .E’ storia antica e nota quella degli aiuti di Stato ai privati, e l’IRI ne è la madre, anzi il padre: nella pancia dell’Istituto alla fine degli anni ’80 riposavano circa 1000 società a capitale misto, la famosa “terza via” economica che l’Italia sembrava stesse sperimentando con estrema efficacia. E l’IRI era osservato con molto interesse al di fuori delle Alpi, anche perché possedeva un paio di società in evidente stato di monopolio: la società delle telecomunicazioni e la società delle Autostrade. Negli anni ’80 anche l’IRI non passò indenne dal folle aumento della spesa pubblica che investì tutto l’apparato industriale italiano, e così venne privatizzata. L’IRI viene prima quotata in Borsa nel 1992, e poi smembrata, cedendo agli azionisti ed ai privati imprenditori quasi ogni pezzo del comparto industriale pubblico italiano. Le poche aziende che sopravvissero alla privatizzazione ( Rai, Alitalia, Fintecna, Fincantieri e Finmeccanica) passeranno sotto il controllo del Ministero del Tesoro. Il Gruppo Autostrade è uno dei primi colossi a finire nelle mani dei privati. Deus ex machina di questa, e della maggior parte delle privatizzazioni, fu Romano Prodi. E’ il 1999 ed al Governo siede Massimo D’Alema. Presidente dell’IRI è Gian Maria Gros-Pietro. Ed ecco la”scatola cinese” a firma Benettòn. L’IRI decide di quotare un buon 70% della società, vendendo il 30% alla Società privata Schemaventotto S.p.A., una società che controlla a sua volta il 30,06% di Atlantia S.p.a, che è invece controllata al 43,02% da Edizione s.r.l., la holding, cioè l’azienda di famiglia dei Benettòn. Edizioni s.r.l. controlla il 67,08% di Benetton abbigliamento ed il 100% di Schema24 s.p.a, un’altra azienda che controlla a sua volta, il 59,28% di Autogrill S.p.a. E poi appare Sintonia s.p.a per il 79.08%, un’azienda che possiede l’85,45% della società InvestimentiInfrastruttre Spa, che a sua volta controlla il 29,35% di Gemina, ennesimo tassello della galassia delle partecipate Benettòn, una delle più importanti, perché controlla il 95,76% di Aereoporti di Roma s.p.a, e quindi gli aeroporti della Capitale. Davvero una grande scatola cinese. Bene, riepilogando: nel 1999 lo Stato Italiano ha ceduto due aziende del gruppo IRI, Autostrade e Autogrill, alla famiglia Benetton, che di fatto hanno assunto il monopolio assoluto nel settore della ristorazione aeroportuale ed autostradale. In questa operazione lo Stato si è perso un fatturato annuo di 8 miliardi circa. “Cui prodest”, c’è da chiedersi. Ma adesso ripercorriamo i tempi: 1996.Il primo Governo Berlusconi dura solo due anni. La gioiosa macchina da guerra di Occhetto è stata messa da parte e prende sempre più forma il bipolarismo. Destra e Sinistra hanno trovato i loro leader. Silvio Berlusconi raduna sotto di sé Forza Italia, Alleanza Nazionale, i Cristiani Democratici Uniti ed il Centro Cristiano Democratico. La Sinistra, dopo il periodo falce e martello, si rifugia in un rassicurante Romano Prodi, già presidente dell’IRI dal 1982 al 1989 e durante un piccolo periodo tra il 1993 ed il 1994. Per la cronaca, ( da documentazione accertata) sotto l’ala moderata di sinistra scendono in campo: il PDS (con dentro la Federazione Laburista, i Cristiano Sociali ed i Comunisti unitari) i Popolari per Prodi (un’accozzaglia di sei partiti), la Lista Dini, i sempreverdi Verdi, il Patto Segni, i Socialisti Italiani e pure il Partito Sardo D’Azione. Rifondazione Comunista si coalizza , con un patto di desistenza che porterà il Governo Prodi I a cadere miseramente ad ottobre 1998. Prenderà il posto di Romano Prodi un sempre pronto Massimo D’Alema, che si insedia a Palazzo Chigi nel 1999, l’anno di privatizzazione del Gruppo Autostrade.( ma guarda!) Le carte, agli atti, recitano che in quell’anno come presidente dell’IRI è sempre tale Gian Maria Gros-Pietro, colui che già è apparso all’inizio, un personaggio pressocchè sconosciuto. Di lui sappiamo, e solo dalla sua biografia, che è del 1942, ha una laurea in Economia all’Università di Torino dove insegnerà fino al 2004 prima di passare alla Luiss. Dal 1974 al 1995 ha diretto il Ceris (Centro di Ricerca sull’Impresa e lo Sviluppo) in seno al CNR. Lo ritroviamo nel 1992 Presidente della Commissione per le Strategie industriali nelle privatizzazioni del Ministero dell’Industria e nel 1994 diviene membro della Commissione per le Privatizzazioni istituita da Mario Draghi. Nel 1997 assume la presidenza dell’IRI e nel 1999 passerà ad ENI. Gros-Pietro pare essere un pezzo grosso del settore economico-finanziario italiano, perché  lo ritroviamo pure come presidente del Consiglio di Gestione di Intesa San Paolo. L’anno 1999 è l’anno della privatizzazione del Gruppo Autostrade, che viene ceduto indirettamente al gruppo Atlantia s.p.a, controllata da Edizione srl, la holding di famiglia dei Benetton. Società Autostrade passerà da un fatturato di 2359 milioni di euro nel 2002, a 5840 milioni circa nel 2011.A fine ’99, dopo il colpaccio di Autostrade, il tale Gros-Pietro viene nominato presidente dell’ENI, per seguire la privatizzazione di quest’altro colosso. Ma è nel 2002 che la sua carriera prende il volo, perché dal 2002 al 2010, andrà a presiedere proprio la Atlantia S.p.a, la società alla quale solo tre anni prima, come dipendente pubblico, aveva svenduto la gestione dei servizi autostradali italiani. E così il dado è tratto. Gros-Pietro vende, Benetton compra, Benetton ringrazia, schiocca le dita e Gros-Pietro viene assunto. La storia della Società Autostrade spa, qui sopra riassunta, è solo un’altra triste testimonianza di come il nostro immenso patrimonio industriale sia stato sempre male amministrato e male privatizzato, e di come in realtà l’Italia sia incapace di tutelare l’interesse primo, cioè il” bene pubblico”.Detto ciò, e per nulla recriminare con le scelte di privatizzazione sicuramente necessarie per snellire come già detto i conti dello Stato, e la gestione delle infrastrutture, tramite il collegamento con i privati, ma per ribadire con forza quanto sia fondamentale sorvegliare e tutelare i cittadini. Nella maggioranza di governo oggi c’è chi sostiene che il ponte Morandi sul viadotto Polcevera fosse un rischio noto da tempo. Ma da Autostrade per l’Italia, che ha in gestione quel tratto della A10 e che effettuava controlli continui su quest’opera, che sappiamo risalire agli anni Sessanta, hanno assicurato che non è mai emerso nulla che potesse far presagire il crollo che ha provocato finora 39 morti, oltre a decide di feriti. Ad escludere che il ponte fosse pericoloso, oltre alla Direzione locale, sono intervenuti da ieri anche vertici come l’amministratore delegato della società Giovanni Castellucci (“non mi risulta”), numero uno anche della holding Atlantia, il direttore del Tronco di Genova di Autostrade per l’Italia Stefano Marigliani, è “per noi qualcosa di inaspettato e imprevisto rispetto all’attività di monitoraggio che veniva fatta sul ponte. Nulla lasciava presagire” che potesse accadere. “Assolutamente non c’era nessun elemento per considerare il ponte pericoloso”, che aggiunge “il ponte è una struttura dal punto di vista ingegneristico molto complesso: da qui la moltitudine di controlli”. L’opera era infatti soggetta a costante attività di osservazione e vigilanza, con strumenti avanzati e prove riflettometriche (l’ultima ad inizio 2017): ma mai “nulla è emerso che facesse presagire l’accaduto” C’è da dire però che in una relazione di Autostrade del 2011, già veniva evidenziato un “intenso degrado della struttura del viadotto” per il volume raggiunto nel tempo dal traffico. “Viadotto da anni oggetto di una manutenzione continua tanto che nel 2016 le Autostrade avviarono dei lavori di manutenzione straordinaria Sulla struttura- spiega in una nota Società Autostrade- erano in corso attualmente lavori di consolidamento della soletta del viadotto ed era stato installato un carro-ponte per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione” Ed è proprio di qualche mese fa un nuovo bando di gara da 20 milioni per “interventi di retrofitting strutturale (una sorta di ristrutturazione profonda) del Viadotto Polcevera”. Ha chiosato il Sole 24 Ore oggi: “L’esigenza di consolidare quella parte del ponte era presente, ma non si riteneva che vi fosse un’emergenza, tanto che l’inizio dei lavori non era previsto prima del 2019”. Che significa? Messa urgente in sicurezza dei tiranti sulla parte poi crollata. Le offerte erano state presentate l’11 giugno e dopo l’esodo estivo sarebbe partito un intervento lungo 784 giorni. Così ha riferito Enrico Sterpi, attuale segretario dell’Ordine degli ingegneri liguri: “Questo bando significa due cose: Autostrade aveva focalizzato la criticità ed era disposta a prendersi una bella responsabilità, con una gara ristretta per un importo tanto elevato. È chiaro insomma che a un certo punto ci fosse necessità di accelerare la procedura”. E poi c’è la “ questione” Gronda Da 8 a 12 mesi: questo il tempo, che nel 2009, era stato calcolato per la demolizione controllata del viadotto Polcevera, con lo smontaggio della “struttura con un ordine inverso rispetto alle fasi della costruzione dell’opera. In tal modo sarebbe stato sufficiente evacuare provvisoriamente le abitazioni che attualmente insistono nell’impronta e negli immediati dintorni del viadotto, senza procedere ad alcun abbattimento dei fabbricati”. Ciò lo si può leggere nello studio “La Gronda di Genova. Presentazione sintetica delle ipotesi di tracciato” che Autostrade per l’Italia aveva realizzato assieme alla società d’ingegneria SPEA e pubblicato nel febbraio 2009 come base per un dibattito pubblico. “Una volta demolita la struttura del Ponte Morandi, i proprietari delle abitazioni potranno rientrare nei rispettivi alloggi”. Autostrade per l’Italia aveva sottolineato in più punti la criticità della situazione: nel documento si legge, tra l’altro, che “il tratto più trafficato è il viadotto Polcevera (Ponte Morandi) con 25,5 milioni di transiti l’anno, caratterizzato da un quadruplicamento del traffico negli ultimi 30 anni, destinato a crescere, anche in assenza di intervento, di un ulteriore 30% nei prossimi 30 anni”. La relazione, redatta 9 anni fa, parlava di “potenziali rischi”: “Il ponte Morandi – si legge – costituisce di fatto l’unico collegamento che connette l’Italia peninsulare ad est, la Francia meridionale e la Spagna ad ovest, ed è il principale asse stradale tra Genova, le aree residenziali periferiche, il porto di Voltri, l’aeroporto e le aree industriali di ponente. Lo svincolo di innesto sull’autostrada per Serravalle, all’estremità est del viadotto, produce quotidianamente, nelle ore di punta, code di autoveicoli ed il volume raggiunto dal traffico provoca un intenso degrado della struttura sottoposta ad ingenti sollecitazioni. Il viadotto è quindi da anni oggetto di una manutenzione continua”.

Ma parliamo di manutenzione e vigilanza. Chi doveva provvedere? Autostrade per l’Italia? E chi le verifiche? A ciò risponde un’inchiesta del quotidiano La Stampa : “Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha incarico le strutture nate dal ‘99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest’ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatti da tecnici retribuiti da Autostrade per l’Italia”. Ecco che ancora una volta il colpevole è invisibile. Ed allora ecco che oltre alla burocrazia, alle privatizzazioni, ai temi politici e sociali c’è qualcosa che li travalica, ed è l’etica, la moralità. Che manca. Tra qualche giorno tutto questo sarà solo una storia dolorosa ma dimenticata, ed il silenzio generale farà da padrone. In fondo siamo abituati a questo modo di fare. Come ben sappiamo che nessuno sarà colpevole e pagherà per questa immane tragedia annunciata. Perché accadrà qualcosa, sicuramente, che cambierà le carte in tavola, oppure a causa dei tempi notoriamente lunghi ( e lo abbiamo visto anche in altri casi simili) l’oblio avrà la meglio sulla verità.

In questi due giorni abbiamo ascoltato ovunque menti eccelse di tecnici con pareri discordanti sul ponte Morandi, pareri che non chiariscono, né giustificano veramente quanto accaduto, anzi mettono ancora più confusione. Il procuratore di Genova afferma: “ Non è una fatalità. Non lo è affatto” E quindi, cosa è realmente accaduto e chi è davvero il responsabile di queste morti innocenti ?

Vi ho raccontato la nostra storia, quella di un’Italia che ha fatto delle scelte importanti, ho cercato di fare chiarezza su cosa siano le Infrastrutture, ed ho raccontato l’excursus dei fatti riguardanti la privatizzazione di Autostrade per l’Italia, e tutte le interconnessioni politiche. Ora ciò che spero fortemente è che venga fatta chiarezza, non a colpi di tweet o di botta e risposta tra i capi carismatici dei vari partiti, o polemiche spicciole dei saccenti tuttologi del web e dei social, che senza essi neppure avrebbero voce, e lo chiedo per rispetto al dolore ed al lutto di tanti, dell’Italia nostra per prima.

Oggi si può solo provare rabbia, e tanto dolore. Ho scritto questo lungo documento perché sono due giorni e due notti che non dormo, e non mi rassegno. Sfilano davanti a me immagini struggenti, riascolto mille volte testimonianze che tagliano a fette il cuore, guardo video strazianti di familiari che un attimo prima avevano ancora la loro famiglia, i loro cari accanto, e per mano di “chissà chi”oggi non sono più qui.

Io non so con chi prendermela, se non con il “ chissà chi, e so solo che mi sento fortemente offesa. E profondamente ferita, come tutta l’Italia. Fate che sia veloce la risposta. L’Italia lo chiede. Grazie.

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