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Cronache
Giulio Regeni, due anni fa l'omicidio ancora oggi senza risposte

Regeni: due anni fa un omicidio ancora senza risposte

Alle 19.41 del 25 gennaio 2016 Giulio Regeni manda il suo ultimo messaggio. Avvisa la sua ragazza che non potranno fare la quotidiana chiamata su Skype perche' deve partecipare a una festa di compleanno con alcuni amici. Quel testo lo digita durante il tragitto tra casa sua, nel quartiere Dokki al Cairo, e la stazione della metropolitana di El Bohoth. Poco prima aveva parlato al telefono con il professor Gennaro Gervasio per confermare l'appuntamento che avevano per le 20.30 in una caffetteria nei pressi di piazza Tahrir. Alle 20.02 il suo cellulare viene agganciato proprio alla stazione della metro prima di spegnersi per sempre. Giulio non e' mai arrivato dal professor Gervasio, che ha continuato a provare a contattarlo per tutta la notte. Regeni era scomparso. Giulio Regeni aveva 28 anni. Nato a Trieste e cresciuto a Fiumicello, aveva frequentato il Collegio del Mondo unito a Duino, si era laureato a Leeds, in Inghilterra, e svolgeva un dottorato alla prestigiosa universita' di Cambridge. Quello era il suo secondo soggiorno al Cairo e aveva scelto la capitale egiziana per una ricerca sui sindacati indipendenti dei venditori ambulanti.

Il giorno dopo la sua scomparsa, i suoi amici dell'universita' vanno a cercarlo nei commissariati e negli ospedali. Di Giulio non c'era alcuna traccia. Alcuni di loro hanno suggerito di diffondere la notizia per fare pressione sui rapitori, sospettando potessero essere coinvolti i servizi egiziani, altri invece hanno voluto attendere nella speranza che si faccia avanti qualcuno per chiedere un eventuale riscatto. I genitori di Giulio, Claudio e Paola Regeni, arrivano al Cairo il 30 gennaio e si sistemano nell'appartamento che il loro figlio condivideva con altri due giovani, l'egiziano Mohamed El Sayed e una tedesca, Juliane Schoki. Non avevano informato nessuno del motivo reale del loro viaggio. Il 31 gennaio l'ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, decide di rendere pubblica la notizia della sparizione. Avverte prima i genitori per concedere "cinque minuti" per farlo sapere a casa. Alle 18.18 l'Agi pubblica il lancio: "Uno studente italiano di 28 anni, Giulio Regeni, e' scomparso "misteriosamente la sera del 25 gennaio nel centro del Cairo". Lo comunica in una nota la Farnesina che, con l'ambasciata italiana in Egitto, segue la vicenda "con la massima attenzione e preoccupazione". Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni "ha avuto poco fa un colloquio telefonico con il suo omologo egiziano Sameh Shoukry, al quale ha richiesto con decisione il massimo impegno per rintracciare il connazionale e per fornire ogni possibile informazione sulle sue condizioni".

L'ambasciata al Cairo, sin dalle prime ore dalla sparizione, aggiunge la nota, ha subito attivato i canali di comunicazione diretta e una stretta attivita' di coordinamento con tutte le competenti autorita' egiziane, ed e' in attesa di ricevere elementi sulla dinamica della sparizione. Ambasciata e Farnesina sono anche in stretto contatto con i genitori di Giulio". Il 2 febbraio l'ambasciatore Massari incontra il ministro dell'Interno egiziano Maghdy Abdel Ghaffar e gli chiede informazioni su Giulio. L'incontro, anomalo come lo descrive il diplomatico, si conclude con Massari che intima: "We want Giulio back", rivogliamo Giulio. Il ministro conferma la massima attenzione ma, molto probabilmente, Giulio era gia' stato ucciso. Il 3 febbraio Massari riceve una soffiata: hanno trovato il corpo di un ragazzo sulla strada che dal Cairo porta ad Alessandria. Il diplomatico verifica l'informazione e la sera, insieme all'allora ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi (che si trovava in Egitto con una delegazione di imprenditori italiani), si reca all'appartamento dove si trovavano i genitori di Giulio per dare loro la ferale notizia. Poi Massari decide di recarsi all'obitorio dove era stato portato il corpo del ricercatore per vedere in che condizioni fosse. Le torture erano evidenti, su tutto il corpo. Giulio non solo era stato ucciso ma era stato anche torturato da "professionisti".

Il 6 febbraio lo conferma il direttore dell'istituto di medicinale legale di Roma, Vittorio Fineschi, incaricato dal pm Sergio Colaiocco di eseguire l'autopsia. Sul suo rapporto scrivera' che Giulio e' stato torturato in maniera professionale per cinque o sei giorni. Riporta segni di bruciature e fratture su tutto il corpo, ha le unghie strappate, i denti rotti, le orecchie recise. E la morte e' stata causa dalla frattura di una vertebra cervicale. La madre ha detto di essere riuscita a riconoscere Giulio "solo dalla punta del naso" e di aver visto sul suo volto "tutto il male di questo mondo". Si chiede, ancora oggi, come abbiano fatto dei poliziotti egiziani a riconoscerlo immediatamente". Le menzogne e i depistaggi accompagnano il caso di Giulio Regeni dal momento del ritrovamento del suo corpo. Il direttore del dipartimento investigativo di Giza, Khaled Shalaby, lo liquida immediatamente come incidente stradale. Il ministro dell'Interno, Abdel Ghaffar, nella sua prima conferenza stampa sul caso fornisce invece altre versioni: "Non conoscevamo Giulio Regeni, non esistevano indagini a suo carico e respingiamo ogni accusa sul coinvolgimento di appartenenti all'apparato di stato. Fino a quando non saranno completati gli accertamenti medico-legali e non avremo sentito tutte le persone che questo ragazzo frequentava al Cairo, quel che viene detto e' solo speculazione".

E di speculazioni ne vengono fatte tante sul conto di Giulio: la stampa locale, citando fonti della sicurezza, punta a screditarlo e viene fatto passare, a seconda delle occasioni, come un collaboratore dei servizi segreti stranieri o una spia. Oppure Giulio avrebbe pagato con la morte una vita dissoluta e cattivi rapporti con alcuni abitanti del quartiere in cui viveva. La famiglia smentisce e il governo italiano chiede la verita' e la consegna dei responsabili. Il 7 marzo la Procura di Roma reitera una rogatoria dopo aver preso atto che gli atti trasmessi dall'autorita' giudiziaria egiziana sono incompleti e insufficienti. Due settimane dopo, il 24 marzo, la polizia egiziana uccide cinque persone, sostenendo che appartengono a una banda specializzata in sequestri e rapine ai danni di stranieri e collegandoli al caso Regeni grazie a degli oggetti appartenuti al ricercatore italiano che vengono ritrovati nell'appartamento di uno di loro. Il 7 e l'8 aprile una delegazione di magistrati e investigatori italiani riceve a Roma gli inquirenti egiziani per fare il punto delle indagini ma il vertice non da' gli esiti sperati: gli italiani non ottengono i tabulati delle utenze di soggetti egiziani e neppure i filmati delle telecamere della metro e del quartiere dove viveva Regeni. La collaborazione e' di fatto interrotta e l'allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ritira l'ambasciatore italiano Maurizio Massari.

Il 15 marzo 2017 viene inoltrata al Cairo una nuova rogatoria, alla quale viene risposto due mesi piu' tardi con la consegna di una prima parte dei documenti richiesti. Allo stesso tempo pero' viene negata agli inquirenti italiani la possibilita' di porre eventuali domande ai poliziotti che si erano interessati al giovane ricercatore friuliano. Il 14 agosto la procura egiziana invia a Roma atti relativi a un nuovo interrogatorio cui sono stati sottoposti i poliziotti coinvolti negli accertamenti sulla morte del giovane. Alla luce di questo, Alfano annuncia il rientro in Egitto del nuovo ambasciatore, Giampaolo Cantini, ribadendo l'impegno del governo a fare chiarezza sulla morte di Regeni. La decisione e' duramente condannata dalla famiglia che, indignata, parla di "resa confezionata ad arte". A settembre, il legale egiziano che segue il caso per conto della famiglia Regeni, Ibrahim Metwaly, viene fermato e incarcerato con l'accusa di voler sovvertire il governo. Intanto vanno avanti le indagini della procura romana che chiede con una nuova rogatoria alle autorita' britanniche per poter interrogare la professoressa Maha Abdel Rahman, tutor di Regeni all'universita' di Cambridge, che ha sempre evitato il confronto con i magistrati. All'inizio di dicembre il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Hassan Shoukry, afferma che le immagini registrate dalle telecamere di fronte all'abitazione di Giulio Regeni al Cairo "sono state cancellate, esiste un sistema informatizzato", ma che e' stata incaricata una societa' europea per recuperarle. Una volta finito, il risultato verra' condiviso con l'Italia, assicura, precisando che non sa quanto tempo ci vorra'.

Il 21 dicembre, in un nuovo incontro tra il procuratore generale egiziano Nabil Sadek e gli inquirenti italiani, vengono consegnati "verbali e documenti contenenti nuovi elementi probatori" e si fa il punto sulla situazione delle indagini, compreso un aggiornamento sullo stato di avanzamento dei lavori della societa' incaricata del recupero dei video della metropolitana del Cairo. Il 9 gennaio la delegazione italiana torna a Cambridge per interrogare Maha Abdel Rahman, 'tutor' della ricerca di Regeni, sollecitata dalla Procura di Roma tramite rogatoria lo scorso novembre. Da allora, sempre in base a quanto richiesto nella rogatoria, la polizia di Cambridge sta portando avanti, anche grazie alla disponibilita' dello stesso ateneo, l'attivita' di identificazione e di ascolto di altri studenti che come Regeni hanno studiato per un certo periodo in Egitto. Gli inquirenti sequestrano anche computer, pennette usb e hard disk della tutor. "I supporti informatici e i documenti acquisiti - spiega una nota diffusa dalla Procura di Roma - saranno utili a fare definitiva chiarezza, in modo univoco ed oggettivo, sul ruolo della professoressa nei fatti di indagine".

L'Universita' prende pero' le difese della tutor e attacca i magistrati italiani. In una nota diffusa il 18 gennaio, firmata da vice-cancelliere, Stephen J Toope, insinua che la tutor di Regeni e' vittima di "una vergognosa campagna (orchestrata dal governo italiano) di maldicenze e calunnie, a fini politici per giustificare l'assenza di progressi nelle indagini" da parte degli inquirenti italiani, che solo una settimana prima, a due anni dall'assassinio di Regeni, ha acconsentito a farsi interrogare, dopo che il ministero degli Esteri italiano, guidato da Angelino Alfano, ha ottenuto da un giudice britannico che la professoressa fosse interrogata.

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