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Cronache
Il Papa in Sinagoga: "Siete i nostri fratelli e sorelle nella fede"

E' un lungo abbraccio quello che la comunità ebraica di Roma riserva a papa Francesco nella sinagoga di Roma. Gli stringono la mano, qualcuno gli bacia l'anello, c'è persino chi accenna "viva il Papa". E lui, Bergoglio ricambia l'affetto: si alza anche lui ad applaudire quando vengono citati i superstiti dei lager, si sofferma a salutare, a parlare. E' il terzo pontefice ad entrare nel Tempio e, come ha ricordato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, "secondo la tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, consuetudine fissa" e quindi, ha aggiunto, "è decisamente il segno concreto di una nuova era", un evento che "si irradia in tutto il mondo con un messaggio benefico" e che "si oppone  all'invasione e alla sopraffazione delle violenze religiose".

"Todà rabbà", grazie tante, fu il saluto in ebraico che pronunciò Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986 varcando - primo pontefice nella storia - la soglia della sinagoga di Roma. "Todà rabbà", ripete trent'anni dopo papa Francesco che segue la sua scia in una giornata attorno alla quale si è concentrata un'impressionante attenzione sul piano mediatico - oltre trecento giornalisti e accrediti chiusi in anticipo per le troppe domande - e dell'ordine pubblico, con 800 tra poliziotti e carabinieri, tiratori scelti, polizia fluviale e unità a cavallo. La scia di Wojtyla, ma anche quella di Benedetto XVI, che in sinagoga arrivò nel 2010, sempre il 17 gennaio, chiedendo perdono per ciò che nell'agire della Chiesa "ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo". E pure Bergoglio dice a gran voce, citando i testi conciliari: "No ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano".

Ma la visita di Francesco va anche oltre. "Non porta i segni dei ritualismi", come ha fatto notare Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, sottolineando che "con questa visita ebrei e cattolici lanciano oggi un messaggio nuovo rispetto alle tragedie che hanno riempito le cronache degli ultimi mesi: le fede non genera odio, non sparge sangue, richiama al dialogo". E in effetti nel giorno di Francesco al ghetto rivive anche la spontaneità di Giovanni XXIII, che non entrò nella sinagoga ma passando un giorno dal Lungotevere fece fermare la sua auto per benedire la folla che usciva dal Tempio. Bergoglio ha chiesto proprio di avere un contatto con la gente e le due ore nel ghetto sono un lungo scambio fraterno: il pontefice si ferma nel Largo 16 ottobre 1943, davanti alla lapide che commemora la deportazione degli ebrei romani, poi raggiunge a piedi il Largo Stefano Gaj Tachè, luogo che ricorda l'uccisione del bimbo di due anni da parte del commando palestinese che assaltò la sinagoga nel 1982.

Ad accogliere il Papa fuori dalla sinagoga, Ruth Dureghello, insieme al presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna e ai vertici della Fondazione museo della shoah. Poi, sotto al colonnato del Tempio, l'abbraccio con Roma, Riccardo Di Segni. Nel suo discorso, il rabbino parla delle divisioni e del momento "in cui si risolveranno". E dice: "Nel frattempo, ciascuno, rimanendo fedele alla propria tradizione, deve trovare un modo di rapportarsi all'altro in pace e con rispetto" ma con la visita di Francesco si ha la conferma che "la Chiesa cattolica non intende tornare indietro nel percorso di riconciliazione". Non si tratta di "discutere di teologia", dice Di Segni, ma di ribadire che "le differenze religiose, da mantenere e rispettare, non devono essere giustificazione all'odio e alle violenze".

La teologia viene invece accennata dal Papa che sottolinea "l'inscindibile legame" che unisce gli ebrei ai cristiani che "non possono non far riferimento alle radici ebraiche".


Giubileo dei migranti, il Papa: "Non fatevi rubare la speranza"


"Non lasciatevi rubare la speranza e la gioia di vivere": è l'esortazione che Papa Francesco rivolge, al termine dell'Angelus, ai migranti e rifugiati presenti in piazza San Pietro e in attesa di celebrare il loro Giubileo, nella ricorrenza della Giornata mondiale del Migrante e del rifugiato.

"Cari migranti e rifugiati, ognuno di voi porta in sé una storia, una cultura, dei valori preziosi; e spesso purtroppo anche esperienze di miseria, di oppressione, di paura - sottolinea il Papa - La vostra presenza in questa piazza è segno di speranza in Dio. Non lasciatevi rubare questa speranza e la gioia di vivere, che scaturiscono dall'esperienza della divina misericordia, anche grazie alle persone che vi accolgono e vi aiutano". Francesco augura loro che "il passaggio della Porta Santa e la Messa che tra poco vivrete vi riempiano il cuore di pace". E ringrazia i detenuti del carcere di Opera, "per il dono delle ostie confezionate da loro stessi e che saranno utilizzate in questa celebrazione".

Circa 7.000 migranti e rifugiati di almeno 30 nazionalità, provenienti dalle 17 diocesi del Lazio, sono oggi in Piazza San Pietro per partecipare all'Angelus. Tra loro ci sono anche 200 richiedenti asilo del Cara di Castelnuovo di Porto, con le bandiere delle diverse nazionalità presenti al Centro. In piazza è stata portata anche la Croce di Lampedusa, realizzata con i legno dei barconi e benedetta da papa Francesco durante la sua visita sull'isola, simbolo che richiama le circa 4.000 vittime - tra cui oltre 750 bambini - che lo scorso anno hanno perso la vita nel viaggio verso le coste italiane: a portarla è il gruppo dei migranti ucraini, "nel segno di una guerra dimenticata - sottolinea la Fondazione Migrantes della Cei - e della forte presenza di persone provenienti da questa nazione, sia migranti economici che richiedenti asilo". E oggi a Lampedusa il cardinale Montenegro apre simbolicamente la "porta d'Europa": anche qui un crocefisso carico di significati, quello regalato da Raul Castro a papa Francesco in occasione della sua visita a Cuba, fatto anch'esso con i remi dei barconi dei migranti.

Dopo l'Angelus i migranti, attraversando la Porta Santa e recando anche la Croce di Lampedusa, partecipano nella Basilica di San Pietro a una solenne messa presieduta dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, che consacrerà per l'occasione oltre 5.000 ostie realizzate da alcuni detenuti del carcere di Opera di Milano.

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