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Cronache
Ilva condannata alla chiusura. Cantone butta la pietra e nasconde la mano
Raffaele Cantone

 

Che forza Raffaele Cantone, il presidente dell’Anac, l’autorità anticorruzione. Come si dice al mio paese, butta la pietra e nasconde la mano.
Due giorni fa, richiesto dal vicepremier e ministro dello Sviluppo economico di un parere giuridico sulla cessione dell’Ilva al colosso mondiale dell’acciaio Arcelor-Mittal, demolisce per iscritto l’accordo con un parere formale pomposo e dirimente, bloccando di fatto il deal e così avviando l’Ilva, salvo colpi di scena, alle carte bollate e a una probabile chiusura. Che era quel che chiesero a gran voce in campagna elettorale i Cinquestelle (sbaragliando la concorrenza) giustamente preoccupati del gravissimo inquinamento tarantino e dei tanti tumori prodotti dalle emissioni senza filtri e controlli della vetusta e fatiscente azienda ex Riva. E infatti i grillini hanno gioito quando hanno trovato nelle parole di Cantone un insperato supporto e soccorso per le loro tesi green tanto radicali quante minoritarie.
Oggi, dopo il bastone del parere tranchant da azzeccagarbugli, Cantone usa la carota in un’intervista da don Abbondio al Corriere della Sera, cercando di sfilarsi da ogni responsabilità.
E’ preoccupato, Cantone novello Alice nel paese delle meraviglie, del danno che ha provocato con la sua bastonata di dubbi sulla correttezza delle procedure di cessione definite dal governo precedente e in particolare dal furibondo ministro Calenda, che lo aveva firmato prima di andare a casa e oggi marcia velenoso contro Cantone e l’abile Di Maio, che ne ha armato la mano. Ed è preoccupato di passare per il killer dell’Ilva e il complice dei grillini, che avevano demolito ruolo e funzioni della sua ammaccata Anac, prezzemolina di tutto, dalla Rai all’Atac di Virginia Raggi. L’intervista va riletta tutta, come esempio di tartufiamo italico.

Con l’aggiunta che una manina misteriosa ha passato il parere dell’Anac, circondato da tanto mistero da Cantone, a Il Fatto di Travaglio, proprio mentre l’ex magistrato napoletano rilasciava l’intervista tutta d’un pezzo. Un segreto di Pulcinella.

Dall’intervista si desume pure che Cantone del parere dei suoi giuristi ha parlato con tutti, da Di Maio perfino a un incazzatissimo Calenda (ma a che titolo Cantone lo ha preso al telefono essendo ormai l’ex ministro un cittadino qualunque?).
Si capisce infine che Cantone, nominato da Renzi e inviso ai nuovi potenti gialloblù, ha fatto pace coi grilini. Complimenti. Ecco l’imperdibile intervista, metafora di usi e costumi degli incorreggibili e immarcescibili uomini dell’antico Palazzo italico.

L'INTERVISTA A CANTONE DEL CORRIERE DELLA SERA

Presidente Cantone, sulla base del vostro parere il governo annullerà la gara per la vendita dell’Ilva?
«Non credo possa farlo per questo motivo».

Che vuol dire?
«Il nostro provvedimento è un parere e non contiene soluzioni, che, invece, vengono lasciate al Governo che dovrà effettuare autonome valutazioni».

Ieri Di Maio ha dichiarato in Parlamento che sulla gara è stato fatto un pasticcio
«È una sua legittima posizione che rispetto. Quando il ministro Di Maio, che è da sempre fautore della massima trasparenza, pubblicherà la nostra nota e la sua richiesta sarà tutto più chiaro».

Perché vi siete occupati di Ilva?
«Ci è stato chiesto. Una decina di giorni fa ho incontrato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Fra le altre cose mi ha parlato della vicenda Ilva e di possibili criticità nella gara, anticipandomi che ci avrebbero chiesto un parere. Ho prospettato che forse non eravamo competenti ma lui ha evidenziato profili di nostra spettanza ».

Quindi l’istanza è arrivata da palazzo Chigi?
«No. E’ stata mandata dal ministro competente e cioè quello dello Sviluppo Economico per un parere. Abbiamo lavorato con la massima urgenza e in una settimana abbiamo risposto».

Voi avete svolto attività di vigilanza?
«Non abbiamo fatto accertamenti, né potevano farli. Nel parere spieghiamo che abbiamo agito per spirito di leale collaborazione istituzionale e sulla scorta dei dati fornitici, solo per esprimere una posizione giuridica».

Quali erano i dubbi del governo?
«Il primo era sulla legittimità dell’offerta presentata dalle parti con riferimento al rispetto dei termini intermedi e noi abbiamo risposto che dovevano rispettarli, precisando di non sapere se questo era stato fatto. Il secondo riguardava la modifica della scadenza al 2023. E su questo riteniamo che un periodo più lungo di sei anni avrebbe potuto portare a riaprire i termini per le offerte».

E il terzo?
«Era stato fatto un bando che prevedeva la possibilità di rilancio, ma nella lettera per invitare le imprese non se ne fa cenno. Noi riteniamo che, malgrado la scarsa chiarezza della regolamentazione, si poteva anche consentire il rilancio, esprimendoci nello stesso modo dell’avvocatura dello Stato ».

Ha parlato con il ministro Di Maio delle vostre conclusioni?
«Gli ho mandato il parere e naturalmente l’ho avvisato. Lo stesso ho fatto con il presidente del Consiglio e con lui abbiamo parlato degli aspetti giuridici. In quella sede gli ho ribadito i limiti del nostro intervento».

Perché?
«Non ho dormito tre notti, perché sapevo di quanto era delicata la questione e dei problemi sulla competenza. Il consiglio dell’autorità all’unanimità ha ritenuto che era opportuno esprimerci proprio perché non facevamo alcun accertamento sulla vicenda. Il governo avrebbe ben potuto fare le sue valutazioni senza il nostro intervento e noi abbiamo al massimo potuto confermare alcuni loro dubbi, fermo restando che solo a loro spetta decidere».

Quando siete stati coinvolti c’era il timore che si sarebbe perso tempo.
«Lo so bene e invece vorrei si desse atto al mio ufficio che in sei giorni abbiamo risposto».

Secondo l’ex ministro Carlo Calenda parlare di procedure non corrette “è un’idiozia”
«Mi ha chiamato giovedì sera, era arrabbiato ma abbiamo avuto una telefonata civile e corretta; voleva capire cosa avevamo scritto. Mi ha detto che non potevamo non capire che ci eravamo fatti strumentalizzare ed io gli ho risposto che questo rischio non può diventare un alibi per non prendere posizione ».

Nel discorso di insediamento Conte aveva sottolineato che l’Anac non ha dato i risultati sperati. Avete fatto pace?
«Credo che le divergenze siano state appianate ben prima di questa vicenda. Ovviamente noi rivendichiamo di essere un’autorità indipendente, ma questo non vuole dire che siamo una Repubblica indipendente».

Tags:
ilva cantone chiusura
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