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Cronache
Forteto: "Uno scandalo nazionale".
Forteto - la comunità negli anni '70

Il punto l’ha centrato Duccio Tronci, cronista fiorentino e coautore del libro inchiesta Setta di Stato. «Il Forteto - ha detto - è quella cosa che si può conoscere fino a un certo punto. Oltre non si può andare». Ricapitolando: dopo oltre 30 anni di presunti abusi e violenze su minori, il 15 luglio 2016 la Corte d’Appello di Firenze ha confermato l’impianto accusatorio ai danni della comunità nata nel Mugello a metà degli anni '70: 15 anni e 10 mesi al Profeta, Rodolfo Fiesoli, fondatore del Forteto; e via via a scendere per i membri della «setta». Poco prima, il 23 giugno, la seconda commissione d’inchiesta regionale emetteva un altro verdetto: al netto di oltre un anno di lavoro, il dossier sulle responsabilità politiche intorno alla vicenda rimaneva senza nomi. O meglio: senza responsabili. Veniva allora chiamato in causa il Parlamento. Due richieste su tutte. Primo: una commissione d’inchiesta parlamentare («più ampia e incisiva»), che abbia poteri giudiziari e possa dribblare le reticenze e i «non ricordo» di chi è stato chiamato a testimoniare. Secondo: commissariamento della cooperativa agricola, il lato economico del Forteto, per un deciso taglio col passato (attualmente, in calo per via della bufera giudiziaria, il fatturato della coop è di circa 12 milioni di euro).

Qui i precedenti dell'inchiesta: parte 1, parte 2, parte 3

Nella relazione della commissione, si scrive: «Quando si parla di coperture politiche bisogna riferirsi a una specifica parte politica: quella predominante nella Toscana di allora e in parte di oggi, per la quale, nel nome dell’ideologia, il Forteto aveva ragione a prescindere». Tradotto: dal Pci, lungo le varie declinazioni, fino al Pd. Il 27 luglio, con un acceso scontro in consiglio regionale, le 86 pagine del dossier erano state votate all’unanimità con una risoluzione. I giorni precedenti c’erano state polemiche. Il Pd, da sempre contrario al commissariamento e alle «strumentalizzazioni delle opposizioni del centro-destra», era arrivato a sconfessare il presidente della commissione, Paolo Bambagioni (del Pd), e a criticare gli altri componenti (Forza Italia, Fratelli D’Italia, Lega, M5S, lista Sì – Toscana a sinistra) per aver evidenziato la presenza un «sistema» ben radicato. Ma Bambagioni puntò i piedi. «Di quel documento io non cambio una virgola», disse. E così è stato. Accanto alle formule di rito – piena solidarietà alle vittime e fiducia nell’operato della magistratura -, l’impegno preso dal Pd toscano sarebbe stato vincolante. Il caso Forteto a quel punto doveva passare a Roma. Per la seconda volta. Già, perché nel luglio 2015, a un mese dalla pesante dalla sentenza in primo grado, una mozione a firma di Deborah Bergamini (Forza Italia), votata anche dalle opposizioni, era stata affossata. Si metteva nero su bianco la necessità di intervenire, ma il Pd nazionale fece muro. 

Il 16 novembre, la commissione si è recata in trasferta a Roma. Sono stati esposti i fatti (anche al Presidente del senato, Piero Grasso) e ribadite le priorità. Risultato: le parole di Paolo Beni, deputato Pd, fiorentino di nascita. A nome di tutti, ha messo subito le carte in tavola: «Non vediamo al momento la necessità di istituire una nuova Commissione d’inchiesta parlamentare». Perché? «Proprio per l’ottimo lavoro fornito dalla Commissione regionale». E poco importa se proprio quelle pagine lamentavano la (forzata) parzialità dell’indagine e invocano maggiori poteri. Ancora: «In merito alla proposta di sollecitare il commissariamento della cooperativa questa andrà valutata anche sulla base delle risultanze delle ispezioni già in corso da parte del Ministeri dello sviluppo economico. Di sicuro il nostro obbiettivo è quello di dare continuità e prospettive di sviluppo a un’azienda che rappresenta una importante risorsa dell’economia della zona». Dunque, no. Anche su questo.

Ma per la cooperativa, ecco il problema: la discontinuità col passato non esiste. All’interno rimangono non solo prescritti e condannati al processo (questi ultimi in attesa della Cassazione), ma anche chi, assolto o non imputato, avrebbe testimoniato il falso, col chiaro intento di proteggere Fiesoli e compagni. «Deposizioni ammantate di reticenza, volute omissioni e verità distorte», scrivevano i giudici. E infatti altre indagini sono state aperte. Basti pensare, comunque, che lo storico presidente della Coop (1986-2013), Stefano Pezzati (in parte assolto, in parte prescritto in secondo grado), che oggi ricopre un ruolo amministrativo nell’azienda, quando il Profeta fu arrestato avrebbe convocato tutta la guardia, e, secondo una testimonianza, detto a tavolino: «Qui bisogna darsi una mano e creare un corpo comune…per salvare questa esperienza, perché qui la vogliono distruggere…Bisogna prendersi questo impegno di darsi la mano e di coalizzarsi per salvare questa esperienza e per salvare Rodolfo, perché lo stanno calunniando». Bisognava, cioè, concordare una versione. Come potrebbe essere avvenuto. Non solo: anche sulle ispezioni ministeriali non sono mancati dubbi. Nell’agosto del 2013, per esempio, il Governo Letta mandò due ispettori per i sopralluoghi. Il giudizio non lasciava dubbi: commissariamento. Ma ecco il trucco: nel momento in cui la richiesta doveva essere formalizzata, primavera 2014, Palazzo Chigi cambiava inquilino e Matteo Renzi diventava Presidente del consiglio. La documentazione, senza apparente motivo, venne stralciata. Una coincidenza: il Ministro del Lavoro, fresco di carica, era Giuliano Poletti, dal 2002 fino a quel momento presidente della Legacoop nazionale. Proprio l’universo di cui il Forteto fa parte, con un peso economico specifico, e da cui la coop mugellana è difesa a spada tratta.

Tornando al presente, l’onorevole Beni ha poi affondato sulle «inopportune speculazioni ai fini della polemica politica». E le opposizioni, tutte, hanno ringhiato. «La verità è che ancora una volta, se a livello regionale anche grazie a una pressione mediatica consapevole si è rotto il muro del silenzio, a livello nazionale torna il rigurgito del Pd che si sottrae a un confronto serio aperto a ogni eventuale esito. Imbarazzante, davvero», ha affermato Stefano Mugnai (FI) membro della commissione d’inchiesta regionale. «I senatori del Pd, anche “quelli toscani”, dicono no alla richiesta del M5S di mettere all’odg dei lavori della commissione Giustizia il ddl che prevede l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare, un progetto che giace nei cassetti della commissione Giustizia dal dicembre 2015 (…) Il primo arresto all’interno della cooperativa risale al ’78, perché da allora non si è riusciti a far nulla per scardinare le cose?», ha sottolineato il Questore di palazzo Madama, Laura Bottici (M5S). Ieri, all’unanimità, il Senato quella richiesta l'ha approvata, così da esaminare con urgenza i provvedimenti arrivati sull’asse Firenze-Roma. Entro Natale, ha spiegato la Bottici, la com. Giustizia avvierà l’esame. E si saprà l’esito di un lavoro che a luglio strappò lacrime dagl'occhi delle vittime: convinte di poter arrivare fino in fondo. Anche il Vice capogruppo al Senato di Ala, Riccardo Mazzoni, ha tagliato corto: «È uno scandalo nazionale»

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