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Cronache
Isis, ecco perché gli uomini del Califfo hanno perso

Da quando l’autoproclamato Califfato dai mille nomi – Isis, Stato Islamico, Daesh e ce ne saranno altri – ha cominciato a perdere terreno, si è capito che era questione di tempo, ma sarebbe stato cancellato dalla carta geografica. Il futuro tuttavia è sempre incerto, e si aspettava qualche conferma. Che si è avuta quando si è capito che Mosul sarebbe stata riconquistata. Da quel momento è stata soltanto un’inutile agonia che si è conclusa ieri, con la caduta di Raqqa, la cosiddetta capitale. Ormai, se qualcuno commetterà qualche atrocità in nome di quello Stato, sarà come quando, prima, ci si richiamava ad Al Qaeda. Un fanatismo disincarnato.

Non rimane che trarre le conclusioni di questa avventura e personalmente mi scuso con quegli amici che dovessero farmi notare che molte di queste cose le ho già scritte mesi fa. Ma un conto è fare delle previsioni, un altro è trarre delle conclusioni dai fatti.

L’idea stessa di uno Stato Islamico è nata dal risveglio dell’Islàm più rigido, più intransigente, più fanatico e – in un certo senso – più selvaggio. Al punto che siamo ormai abituati al terrorismo in nome di Allah e abbiamo difficoltà a ricordare che, ancora una sessantina d’anni fa, l’intero Maghreb e il Vicino Oriente erano territori di pace e di tolleranza. Gli ebrei erano numerosi dappertutto (in seguito alla cacciata dalla Spagna nel 1492) e convivevano serenamente con gli arabi, i francesi, gli spagnoli, gli italiani. Era un altro mondo. È soltanto dopo, che è nata una feroce intolleranza. Un’implacabile ostilità che ha spinto praticamente tutti gli ebrei a fuggire. Così, questi profughi che nessuno ha compianto, sono andati ad irrobustire Israele, divenuta anche col loro apporto il simbolo di una superiorità economica e militare. Una superiorità che i fanatici musulmani hanno involontariamente sottolineato creando una coalizione quasi mondiale (1967) per annientare l’“Entità sionista”, e riuscendo soltanto a uscire battuti e umiliati dal confronto.

Purtroppo, questa lunga serie di smacchi non ha convinto i maomettani ad abbassare le loro pretese. Lo Stato Islamico, ad esempio, mentre già si avviava a sparire, parlava di far sventolare la Mezza Luna sulla Basilica di S.Pietro. I palestinesi poi, ad ogni sconfitta e ad ogni delusione, hanno raddoppiato la posta. Ovviamente senza cavare mai un ragno dal buco.

L’idea dello Stato Islamico è nata da queste frustrazioni ed ha rappresentato, probabilmente, la risposta più logica al problema. Nel Settimo Secolo d.C. l’idea di nazione non esisteva. La mentalità occidentale era stata forgiata da tredici secoli di potere di Roma (un potere ancora vivo a Costantinopoli, dove sarebbe sopravvissuto fino al 1453) e l’idea fondamentale era quella di uno Stato multinazionale, nato dalla conquista militare e dalla libera adesione ad una civiltà superiore. Un modo di concepire il mondo che non cambiò con Maometto. Roma aveva conquistato un impero ricercando la propria sicurezza e si era imposta col proprio esempio, con i successori di Maometto fu ripresa l’idea della conquista di un impero con le armi ma l’elemento unificatore divenne la religione. Il collante fondamentale delle conquiste arabe fu l’imposizione di un nuovo credo e la stessa lingua araba fu imposta non tanto come elemento di civiltà, quanto come strumento necessario per leggere il Corano, unica norma della società.

Dal momento che le nazioni non avevano importanza, non avevano importanza i singoli potentati locali. Anzi – teoricamente – non avevano nemmeno diritto all’esistenza. Nel mondo islamico vi doveva essere coincidenza fra autorità statale e autorità religiosa, fra legge civile e legge religiosa. Concetto che corrisponde ad una sola parola: califfato.

L’idea di al Baghdadi era coerente con tutto ciò. La prima eresia è la sua suddivisione in Stati musulmani indipendenti. Questo è un assurdo, dal momento che un vero credente ha una sola patria e può riconoscere una sola autorità, quella di Dio e della sua religione. L’esistenza di più Stati, contraria alla dottrina di Maometto, è anche la causa della debolezza del mondo islamico, incapace di parlare con una sola voce. Dunque rifondare il Califfato e abbattere le frontiere all’interno della Umma dei credenti non è dunque qualcosa che nasce dalla volontà di conquista, ma da un dovere religioso. È la riorganizzazione del mondo secondo i precetti del Profeta.

Queste premesse spiegano in che senso la denominazione di “foreign fighters”, applicata ai molti accorsi per combattere sotto la bandiera del Califfo, non abbia senso. In quanto musulmani essi non erano affatto “foreign”: avevano lo stesso status degli altri combattenti. E di tutti i musulmani del mondo, quando si fosse riusciti a ricostituire il Califfato nella sua interezza.

L’iniziale successo dell’idea di al Baghdadi mostra quanto tutto ciò fosse evidente nella mente di tutti. Cosa confermata anche dal nome inizialmente adottato, quello di Isis. Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. L’idea fondativa era soprannazionale.

L’errore dei seguaci di al Baghdadi è stato di non tenere conto dell’istinto di sopravvivenza. Nel momento stesso in cui il Daesh ha proclamato di voler abbattere tutti i governi per sostituirli col Corano, li ha trasformati in suoi nemici. E infatti il Daesh è stato sconfitto non da un singolo Stato, ma da una coalizione. Quegli stessi governi che magari guardavano con malcelata simpatia organizzazioni criminali come Al Qaeda, perfino quelli che le hanno finanziate e sostenute, hanno cambiato atteggiamento quando quelle stesse organizzazioni hanno minacciato la loro esistenza. Gli attentati contro l’Occidente o contro gli ebrei andavano bene, anche se discutibili in dottrina, ma cercare di ammazzare dei principi sauditi, voler esautorare il dittatore di Damasco o il governo di Baghdad, era un altro paio di maniche.

Troppa gente, a sud e ad est del Mediterraneo, non si è accorta che dal Settimo al Ventunesimo Secolo è passato molto tempo.

Gianni Pardo

giannipardo@libero.it

Tags:
isiscaliffoal baghdadi
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