Jeff Bezos: Amazon contestata dai dipendenti
Jeff Bazos, filantropo ma non troppo
L’uomo più ricco del mondo, quasi 132 miliardi di dollari lo scorso anno, è Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, il più grande emporio del mondo che, dopo essere partito con i libri, ora vende di tutto.
In questi giorni è al centro dell’attenzione mediatica per via del presunto ricatto a base di foto osé che starebbe subendo da parte del direttore del National Enquirer, vicino al Presidente Usa Donald Trump.
L’immagine che Bazos vuole dare di sé al mondo è quella del classico realizzatore del “sogno americano” e cioè quello che ha inventato un business sconvolgente nel solito garage di casa.
Modello che altrove, specialmente in Italia, non funziona affatto, forse perché mancano i garage.
Qualche giorno fa una dipendente di Amazon ha scritto una lettera di protesta a Il Fatto Quotidiano per i ritmi lavorativi dell’apparente filantropo Usa.
Niente scene da schiavismo per carità, ma dalla lettura della missiva traspare piuttosto un clima orwelliano, da Grande Fratello (quello del libro dei reality televisivi) che controlla ogni più piccolo movimento dei dipendenti, anche per andare al bagno.
C’è un clima pesante -continua la lettera- ma di una pesantezza velata sotto i segni di una apparente cordialità che però è indagatrice, perscrutante, avvolgente e che richiama alla mente la fabbrica disumana del film Tempi moderni di Charlie Chaplin.
Oggi a Dagospia, che aveva pubblicato il riferimento alla prima lettera, risponde un altro lavoratore di Amazon che smentisce alcuni particolari, ma non il senso generale di quanto affermato qualche giorno fa. In Amazon -a sentire le loro descrizioni- c’è un ipercontrollo che non mette a proprio agio i dipendenti.
Bezos è il secondo uomo più potente del mondo dopo Donald Trump; fa, come tutti i ricconi, filantropia. Magari, se è vero quanto raccontano i suoi dipendenti, dovrebbe iniziare a farlo anche nelle sue aziende.
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