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Cronache
La setta, la cooperativa e il formaggio: ecco il business del Forteto
Forteto - la comunità negli anni '70

Al Forteto fanno il formaggio buono. E di più i tipi: latte di mucca, di pecora, misto. Eterni classici o prodotti innovativi, armonie di sapori e gusti imperdibili. Su tutti, regna il Girellone (bianco o alle olive): eccellenza toscana e italiana, rintracciabile pure nei migliori scaffali internazionali, fino all’Australia. La cooperativa, una delle tre facce della struttura - assieme  all’associazione, cioè la comunità degli abusi, e la fondazione, ancora riconosciuta dalla Regione – secondo l’ultimo bilancio ufficiale fattura 18 milioni l’anno. Anche se, a causa delle recenti indagini giudiziarie e la condanna in primo grado (giugno 2015) di 16 imputati per maltrattamenti e violenze sessuali su minori, gli affari hanno subito un calo: per il neo-presidente Ferdinando Palanti non si andrà sopra i 12 milioni. Anche se c’è da sperare bene. Sotto l’egida dell’adesione sia a Legacoop che a Confcooperative, oggi, risultano «occupate» 130 persone, di cui una quarantina sono dipendenti esterni (non soci ma abitanti del territorio), e 63 sono soci lavoratori. Tra questi solo una decina si è distaccata dalla comunità denunciando il sistema di Rodolfo Fiesoli (fondatore e principale accusato), mentre i rimanenti, invece, ne fanno ancora parte. Uno dei principali obiettivi della commissione d’inchiesta Bis era verificare se esista – e sia mai esistita – una linea di divisione netta tra l’attività economica e le orrende vicende della villa dove molti minori disagiati arrivavano per essere protetti e finivano con l’essere violentati. Ma nel tentativo di capire se il Forteto avesse più anime, si è accertata l’esistenza di un’unica setta.

Qui i precedenti dell'inchiesta: 

parte 1parte 2, parte 3

Il rebus da risolvere è sul commissariamento esterno: cioè l’intervento della mano dello Stato per favorire un taglio netto, creare una trasparenza mai esistita e in ultimo, quindi, tutelare il lavoro di chi innocente si è trovato in mezzo al caos. Questo, con la richiesta di una commissione parlamentare con poteri giudiziari che scavi fino in fondo, è stato l’intervento proposto sia dalla prima (2013) che dalla seconda commissione regionale (2016). Zone d’ombra e passaggi oscuri, infatti, non sono mai mancati. Al Forteto (realtà non accreditata né accreditabile per l’affido) venivano spediti bambini grazie alla garanzia retrostante della cooperativa. Al Forteto non si pagavano gli stipendi, lavorava - 365 giorni l’anno – anche chi contemporaneamente riceveva l’assegno di disoccupazione portando denaro alla cassa comune, spesso non si versavano contributi, si evadeva il fisco, si gestiva la liquidità in maniera illecita. Al Forteto si praticava lo sfruttamento minorile. A febbraio, dopo la visita diretta dei consiglieri regionali delegati all’inchiesta, i dipendenti in blocco – nel tentativo di salvare lo stipendio – dissero di non aver mai visto o sentito niente di quanto accadeva. Ma le testimonianze contrarie delle vittime, tolsero ogni dubbio. «Avevo 11 anni quando ho cominciato a lavorare alle ricotte nel caseificio», disse qualcuno; «prima della scuola, all'alba, ci occupavamo del bestiame. E se non c'era da studiare, si lavorava anche il pomeriggio», aggiunsero altri. O ancora: «Avevo 12 anni e non arrivavo nemmeno a prendere gli stampi per metterli nella macchina, ma lavoravo»; «spalavamo il cemento, mettevamo con le mani i mattoni». Un ragazzo, una volta, perse la falange di un dito schiacciata nella sponda di un camion: e non lo poté dire, perché certe cose non dovevano sapersi. Intanto, con le spalle coperte dall’immensa egemonia culturale che Fiesoli e compari imponevano nella Regione e oltre, l’azienda cresceva, incassava, prosperava. L’uomo che gestiva tutto questo, il presidente storico della coop, Stefano Pezzati, è stato condannato a 4 anni e 6 mesi. Ma ancora oggi, più degli stupri e delle perversioni, del Forteto si conoscono la carne Chianina, le mele e il pecorino di qualità.

Per i più, il Forteto rappresenta una corazzata economica indispensabile per il Mugello. Soprattutto a fronte di una serrata difesa delle istituzioni, delle associazioni e dei sindacati. Da una seduta del luglio 2013, per dirne una, con Fiesoli già in manette, un comunicato stampa del Partito Democratico, con la firma congiunta del segretario locale, metropolitano (Firenze ed ex-provincia) e regionale, esprimeva la vicinanza a chi era bersaglio di «una campagna mediatica denigratoria». Il tris del Pd, poi, diventava ancora più evidente alcuni mesi dopo, quando a seguito di un’ispezione ministeriale che consigliava il commissariamento e quindi la messa a nuda del Forteto, si parlava di «nuove strumentalizzazioni politiche del centrodestra inopportune e controproducenti». In verità, però, era stato il Governo di Enrico Letta, a seguito delle ripetute segnalazioni, a sollecitare l’interessamento del Ministero dello sviluppo economico, che a sua volta, nell’agosto del 2013, mandava due ispettori per i sopralluoghi. Il verdetto fu chiaro: commissariamento. Ma ecco il trucco: nel momento in cui la richiesta deve essere formalizzata, primavera 2014, Palazzo Chigi cambia inquilino e Matteo Renzi diventa Presidente del consiglio. La documentazione, senza apparente motivo, viene stralciata. Alcuni notano una coincidenza: il Ministro del lavoro, fresco di carica, è Giuliano Poletti, dal 2002 fino a quel momento presidente della Legacoop nazionale. Proprio l’universo di cui il Forteto fa parte, con profitti milionari, e da cui la coop mugellana è difesa a spada tratta. Dopo la bufera del 2011/12, osservando l'evoluzione dell'indagine giudiziaria, Unicoop Firenze (il primo cliente del Forteto) lancia infatti un diktat di facciata - pena l’interruzione dei rapporti commerciali - affinché ci sia un cambiamento nel Cda aziendale. Pezzati fa un passo indietro, ma all’interno restarono personaggi che chiamati poi a deporre nel processo in Tribunale – scrive la Corte – daranno versioni fitte di omissioni, falsità e menzogne nell’unico tentativo di proteggere Rodolfo Fiesoli (e non a caso giorni fa è stato aperto dalla Procura un fascicolo per 11 testimoni della difesa accusati di falsa testimonianza). I vertici della Coop, comunque, da Firenze in su, si accontentano dell’apparenza e cominciano a chiudere un occhio per non pregiudicare l’immagine nazionale dell’associazione. In nome del Girellone si fa opposizione al commissariamento, in ogni modo. E questo malgrado palesi irregolarità sulla tutela del lavoro e sui controlli amministrativi. I sindacati, con vari teatrini interni, seguono a ruota. Per completare il quadro, nel luglio 2015 – dopo la condanna in primo grado che sanciva «l’intollerabile legame» tra comunità e cooperativa – il commissariamento viene respinto anche in Parlamento. Una mozione a firma di Deborah Bergamini (FI), che trova concorde tutta l’opposizione, viene affossata dalla maggioranza. E sul Forteto, di nuovo, cala il silenzio. 

Un mese fa, poco prima della consegna della seconda relazione d’inchiesta della regione Toscana, a fronte di 9 mesi di lavoro, il Pd regionale si è aperto clamorosamente all’ipotesi a lungo paventata; salvo poi sconfessare il presidente del gruppo che ha redatto le 85 pagine di denuncia, Paolo Bambagioni, perché, pur essendo del Pd, ha osato sollevare responsabilità sulle coperture del Forteto. Costretto dall’evidenza. I poteri dello Stato sono stati invocati come unica via possibile verso la verità. Eppure, ad oggi, quei documenti sono in procinto di essere dibattuti in aula consiliare con lo spettro di una battaglia tesa a screditarli. E in attesa della sentenza in appello (prevista, dopo i molti rinvii, per il 15 luglio), contro l’opinione pubblica e le vittime, la setta gode di malcelate benevolenze. Mentre il formaggio, occultando la storia, resta comodamente acquistabile per squisite cene estive.

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