Cronache
La sostenibilità deve coincidere con la responsabilità

“Una coscienza ecologica è qualcosa che richiede un ripensamento radicale di tutto. In primo luogo,del termine società, una volta che si sia realizzato che in essa debbono necessariamente rientrare anche entità non umane: mosche, gatti, alberi, ossigeno. Lo spazio sociale non è mai stato esclusivamente e totalmente umano. Viviamo in una biosfera, che oggi sta diventando fragile e sottile come un foglio di carta”, Nella sua ultima opera , “Cosa sosteniamo” edito in Italia da Aboca, Timoty Morton, professore e Rita Shea Guffey Chair in inglese presso la Rice University ed una delle voci più rilevanti nel pensiero sulla sostenibilità, analizza in chiava filosofica il concetto di sostenibilità. Perché il concetto di ecologismo abbia ancora un senso, dice Morton, esso deve essere privato della sua matrice antropocentrica, che assolutizza la Natura come un “altrove” metafisico da preservare, e deve entrare in un’epoca compiutamente post umana. “Noi siamo il soggetto, la terra è l’oggetto, la cosa che sta operando una pressione su di noi”. Fatta questa premesse perciò la chiave in cui secondo Morton va trattato il delicato tema della sostenibilità ambientale è quella di dividere la colpa dalla responsabilità “Una responsabilità non comporta un marchio di condanna, ma solo la presenza di una comprensione. Risolvere il problema del riscaldamento globale spetta a noi, perché quelli che sono giunti a conoscere il fenomeno siamo noi. Chi è in grado di comprendere il funzionamento o l’andamento di qualcosa, ne diviene responsabile”. In altri termini è ora di smetterla di lanciare segnali di allarme e di preoccuparsi ad indicare colpevoli, perché questo non porta da nessuna parte ed anzi potrebbe persino essere persino dannoso.
Quello che occorre è dopo aver riconosciuto che esiste un problema, cercare responsabilmente di risolverlo. Chi è in grado di comprendere il funzionamento o l’andamento di qualcosa, ne diviene responsabile. A ben pensarci questo sembra essere il giusto atteggiamento di affrontare qualsiasi problema, tanto più quello della sostenibilità e della vivibilità del nostro pianeta. Se voi vedete che un’automobile sta piombando su un pedone inconsapevole, avete la responsabilità di spingere il pedone da una parte o di fermare la macchina. Se ci si pensa un po’, l’efficienza riguarda il modo in cui si fa qualcosa e come la si fa. Mentre fino ad ora la sostenibilità e l'ecologismo sono sempre stati trattati come una sorta di scarico di responsabilità verso chi il danno lo avrebbe provocato in misura maggiore. Anche gli accordi di Parigi come si è visto sono sembrati una assunzione della consapevolezza del problema e della ricerca dei colpevoli più che una vera e propria assunzione di responsabilità. Non a caso i suoi obiettivi sono ben lontani dall'essere raggiunti. Occupandoci di problemi ambientali, dovremmo limitarci a esaminare non l’etica dell’ambiente in senso lato, concetto troppo ampio e controverso, ma una sorta di etica applicata ai problemi ambientali. Definire cioè i criteri da seguire per affrontare correttamente tali problemi.
E' inutile, infatti, addossare specificamente ad aziende e singoli individui la produzione del riscaldamento globale, non perché tali accuse non abbiano, per qualche verso, un loro fondamento, ma perché alla fine, in un certo senso, cosa può interessare sapere chi l’abbia prodotto? Come dice ancora Morton nel libro “ Possiamo metterci a discutere se siano stati i produttori o i consumatori, se quelli che hanno inventato il condizionamento dell’aria negli appartamenti (gli americani) o quelli che l’hanno desiderato dopo averlo visto in funzione (il resto del mondo). Se c’è qualcosa che siete in grado di comprendere, allora ne siete responsabili “. Per la società umana, secondo la definizione, ampiamente condivisa, del Rapporto Brundtland, «lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Esso richiederebbe quindi, oltre alla conoscenza dei bisogni del presente e di quelli delle generazioni future e di quale sviluppo li soddisfi, la conoscenza e il controllo delle risorse esistenti, presenti e future, necessarie e sufficienti. Le politiche di sostenibilità ambientale ed ecologiche perciò dovrebbero partire da ognuno di noi nel suo piccolo e non lasciare che ci pensi sempre qualcun' altro. Indicativo in questo senso l'apporto che sta portando al tema la creazione del concetto di società benefit, che è quella società che per statuto fa della sostenibilità e dell'etica aziendale un suo obiettivo primario, come e più dell'utile stesso. Questo è sicuramente un buon punto di partenza, perché la sostenibilità diventi un asse portante del capitalismo e non solo una regola da rispettare, magari di malavoglia perché costretti a farlo. Perché proprio partendo dal concetto che siamo noi e la natura che ci circonda un tutt'uno, si può fare qualcosa di concreto per salvare il pianeta.
Occorre quindi, come si diceva, fare in fretta a superare un’idea di natura come qualcosa di esterno o distaccato dal nostro pensiero antropocentrico. Solo il superamento di questa dicotomia può essere la vera chiave di volta per risolvere i problemi legati all'inquinamento. Bisognerebbe quindi cominciare ad operare un cambio di paradigma nella ideologia sull’ecologismo e sulla sostenibilità e anche forse sulla stessa concezione del nostro universo, consapevoli in definitiva che “noi siamo la natura e la natura siamo noi”.