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Cronache
Libano, scandalo sui caschi blu italiani. Traffico illegale di cibo

Un traffico di alimenti di 4 milioni di euro e' al centro di una inchiesta interna al contingente Onu Unifil, di stanza in Libano per monitorare la fragile pace tra Israele e le milizie sciite Hezbollah. A scriverne e' il quotidiano spagnolo El Pais in una articolata inchiesta secondo cui il personale italiano dei caschi blu avrebbe un ruolo da protagonista nello smistamento nei mercati locali di cibo destinato esclusivamente ai militari. "Unifil -ha affermato il portavoce del contingente Andrea Tenenti all'AGI- ha preso da tempo tutte le misure adeguate in coordinazione con la sede centrale delle Nazioni Unite con lo scopo d'investigare questo tipo di accuse" ma "al momento non vi sono ancora prove che possano confermare una sistematica operazione legata al traffico d'alimenti o ancor meno il coinvolgimento di alcuni contingenti".

L'inchiesta di El Pais prende le mosse dalle rivelazioni di tra operatori internazionali e tre locali di Unifil relative a quanto avveniva nei 21 centri di distribuzione degli alimenti destinati ai 10.000 caschi blu del contingente. La gola profonda dell'affaire, invece, e' R.D., dipendente di un'impresa subappaltrice dell'italiana Es-Ko, che dal 2006 al 2015 ha vinto gare da diversi milioni di euro per l'acquisto e la distribuzione di cibo destinato ai soldati. Es-Ko si occupa del trasporto degli alimenti dal magazzino centrale a Kasmiyeh ai centri di distribuzione, nei luoghi dove operano le diverse truppe del contingente. Da qui in poi e' il personale dell'impresa libanese in subappalto a gestire l'operazione. R.D. aveva l'incarico di supervisionare la distribuzione per conto di Es-Ko, e nel 2010 riferi' a questa di alcune irregolarita'. "Mi chiesero delle prove e a quel punto decisi di far credere ai miei colleghi che mi interessava entrare nella truffa", spiega R.D. a El Pais. Le testimonianze dei sei dipendenti hanno confermato quanto raccontato dal supervisore, che oggi e' sospeso dall'incarico in attesa di accertamenti sul suo operato.

Gli snodi della truffa erano in cinque punti di distribuzione, sotto il comando di Italia, Ghana, Nepal, Malaysia e Indonesia. Gli ordini di acquisto di ciascun battaglione, ha spiegato la gola profonda, venivano ricevuti dal magazzino centrale, gestito da Es-Ko insieme a un ufficiale dell'Onu. Da quel punto partivano settimanalmente sette camion, gestiti dalla subappaltatrice, in grado di trasportare un totale di 80 tonnellate di carico: frutta e verdura, comprati in Libano, e prodotti surgelati, per la gran parte importati. Il tutto veniva stipato nel camion, poi chiuso con una sbarra che riporta un codice poi ricopiato in una nota di carico. Quest'ultima, che indica le quantita' e i nomi dei prodotti, deve essere siglata da un soldato, e controfirmata da due dipendenti del magazzino. E' a questo punto che il congegno truffaldino scattava: "Prima di uscire dal magazzino -spiega R.D.- gli autisti inviavano la nota di carico con whatsapp ai caschi blu nei diversi punti di distribuzione, e questi controllavano quanto del cibo richiesto fosse gia' disponibile nel centro di cui erano titolari. Dopo aver verificato eventuali eccedenze rispetto a quanto richiesto, le comunicavano all'autista che non provvedeva a scaricarle e le terra' nel camion per poi venderle in nero".

Sul mercato andavano a ruba, in particolare, gamberi surgelati, le cui confezioni trovate in un mercato alla periferia di Beirut recitano: "Prodotto non destinato alla vendita. Solo per il consumo interno ed esclusivo dell'Onu". Nel 2005, racconta un vecchi dipendente del magazzino centrale di Unifil, "vi fu un aumento del prezzo dei gamberi surgelati e, contemporaneamente, delle richieste da parte dei battaglioni di Italia e Ghana". La vendita in nero dei crostacei avrebbe fruttato oltre mezzo milione di euro ogni anno. A lasciar intravedere una truffa dietro le quantita' di alimenti in eccesso era stato gia' tempo fa Wikileaks, che lascio' filtrare un documento ufficiale delle Nazioni Unite in cui veniva denunciato un traffico analogo a questo in Liberia. E un audit dell'Onu aveva gia' evidenziato nel 2009 come ai caschi blu fosse destinato cibo in quantita' superiore alle esigenze. E' da questo squilibrio, scrive El Pais, che ha origine la truffa , che vede nel Ghana (870 caschi blu) e nell'Italia (1.206 caschi blu e il comando del contingente) i "battaglioni piu' attivi nella rivendita illegale di cibo".

Unifil conferma l'esistenza di un'inchiesta interna su un presunto traffico di cibo destinato esclusivamente al contingente di stanza in Libano e finito invece nei supermercati locali ma precisa che "al momento, non ci sono ancora prove che possano confermare una sistematica operazione" o "ancor meno il coinvolgimento di alcuni contingenti". Unifil, ha affermato il portavoce Andrea Tenenti rispondendo all'AGI, "ha preso da tempo tutte le misure adeguate in coordinazione con la sede centrale delle Nazioni Unite con lo scopo d'investigare questo tipo di accuse". "Le indagini attualmente in corso -ha proseguito Tenenti- vengono condotte per verificare la veridicita' dei fatti e soprattutto per dimostrare eventuali responsabilita', che e' bene specificare sono sempre individuali. Le Nazioni Unite, attraverso i propri organi di controllo interno prendera' gli adeguati provvedimenti nel caso venissero trovate responsabilita'". "E' soprattutto nell'interesse dell'organizzazione, fare luce su eventuali illeciti perpetrati all'interno della propria struttura. Per tale motivo la stessa organizzazione, sempre attenta a monitorare certi tipi di accadimenti - ha concluso il portavoce- ha per prima denunciato le circostanze e iniziato da tempo investigazioni estese in collaborazione con le autorita' locali e volte a scongiurare qualsiasi tipo di detrimento ai grandi risultati ottenuti dalla missione. Missione che gode sia della fiducia della popolazione che delle autorita' libanesi".

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libano caschi blu italiani scandalo
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